venerdì 27 marzo 2015

Segni


Tbilisi è una città che si trova sull’incrocio di culture, tra l’Occidente e l’Oriente, e forse va anche detto, tra Nord e Sud. I suoi vicini potenti da molto tempo erano avidi di averla, per secoli cercavano di impuntarsi qui. Come risultato, Tbilisi era assediata, distrutta e ricostruita più volte nel corso della sua storia.

Una passeggiata attraverso le parti centrali della città rivela alcune prove di questo, ma la maggioranza degli edifici – con l’eccezione di alcuni storici, soprattutto le chiese – sono relativamente nuovi, costruiti dopo la fine dell’Ottocento. La struttura più suggestiva ed evocativa della città è forse la rete di stradine che attraversano quartieri in declino, dove le riparazioni, se ci si bada, hanno una qualità decisamente improvvisata.

Questo atteggiamento quasi casuale si riflette anche nelle pareti degli edifici che adornano questa ragnatela di vicoli e stradine. Esse ci sorprendono non solo per l’abbondanza dei loro segni scritti a mano, ma anche per il modo come alludono, in forma di scorcio, alla storia profondamente stratificata e multietnica di questa vecchia città. Scritture, graffiature e segnali in almeno tre alfabeti e ancor più lingue accompagnano il passante in qualsiasi delle strade, dove gli sviluppatori di proprietà non hanno ancora preso piede.

Sembra una cosa delicata, quasi eterea, troppo fragile per credere che esisterà a lungo. A ogni angolo si aspetta che i fantasmi escono dall’ombra. Ma Tbilisi si sta sviluppando rapidamente, e per quanto tempo questi quartieri pittorici e ombrosi esisteranno, con i loro luoghi scuri e romantici, dove vecchie persone vestite in nero salgono lentamente sulle stradine sterrate, ragazzi giocano nella polvere, e gatti bagnano pigramente al sole, ciascuno se lo può immaginare.


Ensemble Soinari: Nobody refused. Dal CD Idjassi (2005)


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