mercoledì 28 maggio 2014

Referendum


Quando mi sono accorto di loro per la prima volta, attraverso la finestra sporca del tram numero 5 che avanzava lentamente per la sua strada lungo il fiume Moldava, non potevo comprendere il loro senso. Erano davvero una serie di manifesti di propaganda che agitavano per l’annessione della Subcarpazia alla Repubblica Ceca? Erano davvero volutamente esposti nelle cornici di pietra che, prima del 1989, servivano all’esposizione della propaganda comunista ai viaggiatori lungo una delle arterie più trafficate di Praga?

Ho chiuso gli occhi, e poi li ho aperti di nuovo. Sì, sembrava essere vero.


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Sarebbero la prova di qualche latente filo di speranza ceca, una nostalgia per un mitico passato slavo, un anelito di riunificazione con Podkarpatská Rus, il fratellino perduto di Československo? La risuscita degli irredentisti cechi, incoraggiata forse dalla recente deglutinazione di tutta la Crimea in un unico boccone dalla parte di Putin?

La cosa mi pareva in parte anche satirica, e così sono andato a consultare l’internet per saperne di più. È vero che prima del 1989 le sei cornici in pietra, costruite nel muro che separa la collina Letná dal lungofiume che ha preso il nome da Edvard Beneš e Capitano Otakar Jaroš, si usavano per la propaganda socialista. Dopo il cambio del regime caddero in disuso. Nel 2005 sono stati messi in uso di nuovo, come una galleria pubblica all’aperto, denominata Artwall.

La mostra attuale, Verchovina, è di un gruppo di artisti slovacchi noti come Kassaboys, che provengono da Košice (Kassa in ungherese). I manifesti sono documenti di un referendum fittizio per riunire Cecoslovacchia con la Subcarpazia, che era parte integrale della repubblica dal 1918 al 1938. Gli artisti stessi affermano, che il lavoro è una reazione agli eventi in corso nell’Ucraina, dove un referendum fittizio, organizzato in realtà, ha riportato la Crimea sotto il dominio russo. E la scelta degli slogan: integrazione, collegamento, affiliazione, annessione, ponderano il possibile futuro di Podkarpatská Rus (e, pars pro toto, dell’Ucraina) in rapporto all’Unione europea.

referendum referendum referendum referendum referendum referendum referendum I manifesti originali dimostrano che essi sono stati composti aggiungendo gli slogan rossi sulle illustrazioni di un fascicolo turistico in lingua tedesca della Subcarpazia dagli anni 1930

Si può leggerne di più sul sito Artwall (in slovacco) e dall’articolo dell’Aktualně.cz (in ceco).


domenica 25 maggio 2014

Transizione: Europa dal Nord al Sud

Leopoli (Galizia, una volta Impero Austriaco, poi Polonia, più tardi Unione Sovietica, ora Ucraina), verso 1900, di qua

Rovigno (Istria, una volta Impero Austriaco, poi Italia, più tardi Jugoslavia, ora Croazia), 25 maggio 2014

lunedì 19 maggio 2014

Gli strati del tempo


Iscrizioni fantasma di ristoratori che si susseguivano nello stesso posto ad Abbazia, la stazione balnearia più elegante della Monarchia Austro-Ungarica. Chi sa più di loro?

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Ancora una villa suburbana a cavallo dell’Otto- e Novecento (ingrandire qui), oggi all’angolo del Veprinački put e ulica Joakima Rakovca.

martedì 6 maggio 2014

Odessa


A volte sento il bisogno di semplicemente togliere e inserire qui alcune foto dal flusso delle notizie. Non come se potessi aggiungere qualsiasi cosa a ciò che si sta emanando in tali tempi dalla massa delle notizie, blogs, commenti. Piuttosto solo come una pietra miliare. E perché non posso scrivere di qualcos’altro invece di questo, finché tutto ciò di cui potrei scrivere sembra troppo insignificante in comparazione.


Questa era la Piazza Greca, con la Libreria Greca, dove si poteva sfogliare la letteratura recente sulla città, e con piccole birrerie intorno, dove ci si poteva sedere all’aperto anche dopo mezzanotte nella calda e rumorosa notte dall’odore del mare di Odessa. Solo a pochi passi di distanza, a sinistra, è la Gambrinus, dove ancora ogni sera si suonano vecchine canzoni di taverna di Odessa, e quella è già l’angolo del Parco della Città e della Deribasovskaia, l’affollata strada commerciale. Nel sottofondo, il passaggio e magazzino Afisha, dove i manifestanti sono fuggiti, e l’edificio all’angolo, sul quale appena si butta la bomba di fuoco, è l’internet café Smiley, che mi ha aiutato spesso, quando la rete non funzionava nella mia camera.

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Questo enorme tempio del realismo socialista era la sede dei sindacati nel parco Kulikovo, di fronte alla stazione ferroviaria, accanto all’economico hotel giapponese convertito dal vecchio deposito di tram, con le sue piccole nicchie claustrofobiche. Proseguendo lungo le rotaie, il Mulino Medio dalla Vela bianca all’orizzonte di Kataev, e al di là, la Moldavanka, con la statua di Chmelnizkij all’inizio della strada ebraica, e con la casa di Benia Krik e la sua colombaiai di cento anni, più volte descritta da Babel.


Negli ultimi mesi è diventato sempre più tangibile che nell’Ucraina un’era si è conclusa. Questo è diventato definitivo con l’ultima tragedia di Odessa. Il socialismo prolongato, il ritardo di venti anni per diventare adulto, che questa eterna confine di terra ha dormito sopra, mentre non è diventata né Est, né Ovest, e ora si risveglia a quello che l’Est e l’Ovest hanno già deciso separatamente su di lei, come tante volte nel corso della storia. Un mondo irrigidito in sogno, anacronistico e surreale, eppure accattivante. Sono grato che almeno nei suoi ultimi anni mi è stato permesso di vedere qualcosa d’esso, e di mostrarlo anche ad altri.


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