venerdì 28 febbraio 2014

Kazap e hohol

«Continuate in questo spirito, idioti!»

Popoli vicini che si odiano di cuore, sempre hanno nomi lusinghieri per l’altro, nei quali conglobano il loro disprezzo e avversione. Nelle relazioni russo-ucraine, tale è la coppia che è particolarmente comune in questi giorni nei flames dei forum ucraini e russi: kazap e hohol.

Il хохол, utilizzato dai russi per deridere gli ucraini – sì, il grande scrittore ucraino, Nikolai Gogol [pronunciare Hohol] è stato anche chiamato così – originariamente significava la singola, lunga ciocca di capelli lasciata sulla testa altrimenti completamente rasata dei guerrieri cosacchi del Zaporozhye. I cosacchi erano ovviamente solo uno tra i vari gruppi etnici – russi del Sud, ruteni, rusini e altri, con radicalmente differenti tradizioni storiche – che sono stati coinvolti nell’etnogenesi ucraina. Tuttavia, visto che questo soprannome, documentato fin dal Secento, è stato utilizzato per tutti i cosiddetti «piccoli russi» dell’Ucraina di oggi, esso è infatti il primo etnonimo generale della nazione ucraina che si stava cristallizzando dalla fine dell’Ottocento. Chissà questo spiega perché oggi la figura del cosacco feroce o comico è una mascotte d’identità ucraina, anche in regioni come la Podolia o la Galizia, che non hanno nulla a che fare con la tradizione cosacca, anzi, dove i ruteni locali riguardavano i cosacchi come un gruppo etnico diverso e ostile. E forse spiega anche perché oggi si cerca di attribuire un significato positivo al nome hohol, e tramite di esso all’immagine della nazione ucraina, con riferenza ai capelli lunghi.

«Sono XXL / hohol. – Le ragazze ucraine sono le più belle!”

Le origini del nome кацап – utilizzato dagli ucraini per deridere i russi – sono invece contestate. Secondo l’autorevole Grande dizionario russo di Vladimir Dal, la parola è un prestito dal turco e tartaro kasab, ʻmacellaio’ nel significato di ʻguerriero, soldato’, ed anche essa è venuta ai ruteni dai territori cosacchi oltre il Dnester.



Tuttavia, il Dizionario etimologico della lingua ucraina (1985, II. 572.) non è soddisfatto di quest’etimologia:

“…очевидно, утворене від цап за допомогою специфічного компонента ка-, як жартівливе позначення людей, що носять довгі бороди (Фасмер II 213, Преобр. I 302, Bruckner 211), недостатньо обґрунтоване виведення (Крымский Укр. Гр. I 20, Яворницький 342) від тур. крим.-тат. аз. kassap «м'ясник», яке походить від ар. qaşşăb.

«…ovviamente dal tsap, ʻcaprone’, con l’aggiunta del prefisso ka-, ʻcome’, come riferimento comico a persone che indossano la barba lunga (Фасмер II 213, Преобр. I 302, Bruckner 211). La spiegazione (Крымский Укр. Гр. I 20, Яворницький 342), che la deriva dal kassap ʻmacellaio’ turco o tartaro di Crimea, o dal qaşşăb arabo di simile significato, non è soddisfacente..»


I dieci comandamenti della figlia [nubile]. Una serie di cartoline di dieci pezzi da Hulak Vasil, 1918. Settimo comandamento: Mai amare un kazap!
Sebbene la fonte della peggioratività dei soprannomi etnici, nella maggior parte dei casi, sia il fatto che sono usati solo dalla nazione che ci disdega, tuttavia la fonte del soprannome non è indifferente. Comunque, si sente meglio se si è deriso come un nemico formidabile. E si sente meglio, se si può deridere l’altro come un caprone miserabile.



mercoledì 26 febbraio 2014

Janukovic, l’amante dei libri


Nei giorni scorsi probabilmente tutti hanno visto le immagini che circolano sull’internet sulla dacia dell’espulso presidente ucraino Janukovic in Mezhigorie, lussuosa e insipida oltre ogni limite. Nella storia della dacia, chiamata semplicemente «il museo della corruzione» da Ilia Varlamov, è particolarmente piacevole, che sorge sul territorio di uno dei più antichi monasteri e centri spirituali della Rus di Kiev, il Monastero della Trasfigurazione, fondato nel 988 e demolito nel 1935, che nel 2007 è stato trasferito con un segreto decreto presidenziale a Janukovic.

Ora però si è scoperto – scrive Dmitro Gnap, un blogger dell’Українська Правда –, che Janukovic ha rubato non solo il denaro e la terra, ma anche la storia dell’Ucraina. Gli attivisti del Settore Destro, facendo l’inventario della dacia, ieri gli hanno mostrato una scatola piena di vecchi libri.


I volumi erano i primi e più preziosi libri ucraini stampati, rubati su ordine di Janukovic dalle casseforti di vari musei statali. La loro genuinità è fuor di dubbio, siccome una descrizione dettagliata e certificato da L. Khaukha, Vicedirettore del Museo del Libro e Stampa Ucraina, è stato allegato a ciascun volume.



Il primo volume, per esempio, era l’Apostol, il primo libro in lingua ucraina, stampato nel 1574 in Leopoli da quel Ivan Fedorov, la cui statua, come l’abbiamo mostrato, sta nel bel mezzo della fiera d’antiquariato di Leopoli, tenendo in mano la Bibbia di Ostrog, stampato da lui nel 1581.



Ma Gnap ha visto anche tali pezzi di inestimabile valore della storia del libro ucraina, come il Menaion grande del 1680 di I. Hizel, l’Apostol del 1654 di M. Slozka, o l’Evangeliario del 1704.


«Oggi le antiche stampe di Kiev che hanno sopravvissuto alle guerre e la censura russa, i disastri naturali e gli incendi della biblioteca della Lavra nel 1772 e 1849, sono considerate grandi rarità», scrive l’enciclopedia ucraina della storia del libro. «Ora anche l’ex presidente Janukovic è stato incluso nella lista delle catastrofi sopravvissute», aggiunge Gnap.

martedì 25 febbraio 2014

Uovo di Pasqua

«10 uova di gallina.
Con la benedizione della Chiesa ortodossa russa.
Cristo è risorto!»

Voglio dire… Quanto tempo dura l’uovo?


Vabbene, questo è solo un piccolo aiuto dall’anno scorso rispetto a quanto tempo dura

sabato 22 febbraio 2014

Notre-Dame du socialisme




La prima è più recente. Secondo fonti locali, è apparsa solo un paio di settimane fa, sul lato del Teatro Valle Occupato. La seconda è più logora, più vecchia, se la può già incontrare in reportaggi del maggio scorso sulla Piazza del Popolo. Manifesto stampato, incollato, sul modello agli stemmi sovietici, alla maniera del culto popolare dei santi sudamericano e dei santini pseudo-rivoluzionari. Ma perché in francese, alla periferia di Roma? Da chi e per che cosa? Come spettatori sensibili di crosstalks iconografici, stiamo aspettando le spiegazioni dei lettori più au courant.

venerdì 21 febbraio 2014

Ancora più elefanti fascista


Vi ricordate ancora dell’elefante tedesco, che nel 1945 arrivò a Mosca, all’Ugolok Durova come bottino di guerra, insieme al suo custode, e che è stato riconosciuto dai bambini di strada come l’ultimo fascista? Ora, per gentilezza di un lettore russo, duecentocinquanta nuove foto di esso sono stati aggiunti all’EtoRetro, il sito sociale russo per la raccolta di vecchie foto. Queste immagini mostrano bene, proprio come la storia, quanto il custode amava gli animali a lui affidati, e quanto vicino era a loro. E, in questa quantità, mostrano anche come rapidamente anche un tema così insolti sviluppa i suoi comuni tipi iconografici: elefante in mezzo alla folla curiosa, elefante grande con bambino piccolo, e, naturalmente, l’archetipo, il mahout sul collo dell’animale, come era ben noto a tutti dalle illustrazioni litografiche dei libri sulle meraviglie dell’Oriente.


elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew elephantnew


domenica 16 febbraio 2014

Ritratti osservati



La montagna Gutin si erge come una colonna sopra il valico di frontiera del sud di Maramureș. Si deve girarla se si vuole visitare in fila le chiese di legno di Dănești, Plopiș, Budești, Ocna Șugatag, Desești, incluse nell’elenco del patrimonio del mondo. Noi l’abbiamo girata tre volte in quest’estate, e strada facendo per Ocna Șugatag abbiamo sempre solo guardato giù nella valle su Breb – nel suo vecchio nome ungherese Hódpatakfalva, Torrente dei Castori – che pure ha un’impressionante chiesa in legno dal Cinquecento, più un cimitero ebraico in decomposizione, e su cui Claude Karnoouh ha scritto la sua bella indagine antropologica Vivre et survivre en Roumaine comuniste: rites et discours versifiés chez les paysans du Maramureș.

Parte sud-occidentale dell’ex contea di Maramureș, la regione delle chiese in legno.
Clicca per la carta completa. Oggi il fiume Tisza, sopra Már(amaros)-Sziget è
la frontiera tra l’Ucraina e la Romania. I puntini rossi indicano i luoghi
su cui abbiamo già scritto, ma vogliamo scrivere molto di più.

Qualcun’altra invece non ha solo guardato giù, ma è anche andata giù, e ha trascorso un estate lì. L’azera Rena Effendi, sul cui bello e straziante album The Line of Life abbiamo già scritto. In quell’album ha pubblicato le sue foto sul bel mondo nuovo in fase di sviluppo nel Caucaso, lungo l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. In questa serie però ha voluto mostrare un mondo arcaico, anche se in una lenta erosione. Le sue foto ora hanno vinto il terzo premio nella categoria Observed Portraits, Series del World Press Photo 2014.


breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb breb


giovedì 13 febbraio 2014

I moravi che hanno detto no alla Cecoslovacchia


Il nostro nuovo co-autore, Dániel Szávoszt-Vass, l’autore di due dei migliori blogs di geografia ungheresi, le Danubian Islands e Pangea, inizia ora una nuova serie sui territori staccati dalla Germania alla fine della prima guerra mondiale. Queste piccole regioni con la loro popolazione multietnica e con le loro storie particolari che piegano dal mainstream, si adattano bene alle storie simili del río Wang. (Studiolum)

*

Le perdite territoriali della Germania dopo la prima guerra mondiale non erano affatto così grandi come quelle dell’Ungheria o della Turchia, ma avevano una maggiore influenza sulla storia del mondo. È vero che il paese è stato privato delle sue colonie, pari a circa quattro milioni di chilometri quadrati, ma il paese stesso ha perso solo il 13% del suo territorio nucleo. Tuttavia, quasi tutte queste perdite si sono realizzate nel modo più umiliante. A proposito di una serie di francobolli irredentista tedeschi, trovati in un album di famiglia, visiteremo uno per uno questi territori: Alsazia-Lorena, Danzica, Posen, Alta Silesia, Schleswig del Sud, la regione di Memel, Eupen-Malmedy, e una piccola, quasi sconosciuta regione: la zona di Hlučín (Hultschiner Ländchen). È quest’ultimo dove cominciamo.


Non è generalmente noto che dopo la prima guerra mondiale anche la neonata Cecoslovacchia – il cui nome è fuorviante, perché sulla base della proporzione dei suoi gruppi etnici avrebbe dovuto chiamarsi Cecotedescoslovaccoungarorutenia, dato che aveva almeno due volte più cittadini tedeschi che slovacchi – ha preso parte al taglio della Germania. Il territorio annesso da loro, il Hultschiner Ländchen, è abbastanza periferico nelle varie fonti, di solito non merita più di una semplice menzione, e si trovano poche immagini e testi su di esso.

I nuovi confini cechi e moravi correvano quasi senza interruzione attraverso aree di lingua tedesca. C’era solo una piccola zona al di fuori dei confini storici che non poteva sfuggire all’attenzione del nuovo governo. In Alta Silesia (prima della prima guerra mondiale parte integrante dell’impero tedesco), attorno alla città di Hultschin/Hlučín, viveva un gruppo slavo che parlava un vecchio dialetto moravo mescolato con tedesco. In questo paesaggio rustico, immerso nelle colline dei Sudeti orientali, fra Ostrava e Opava, la popolazione non ha raggiunto il 5000 neanche nella città più grande. Prima del 1918, il Territorio di Hlučín / Hultsciner Ländchen non esisteva né come un’entità geographica né come un’unità amministrativa: era semplicemente la parte meridionale del Kreis di Ratibor.

Nel senso dell’articolo 83 del trattato di Versailles, il Territorio di Hulčín – con una superficie incerta: i dati variano fra 286 e 316 chilometi quadrati – si è annesso alla Cecoslovacchia. Il territorio fu probabilmente assicurato dai cechi per se stessi già alla fine della guerra, perché il referendum tenutosi nell’Alta Silesia non si estendeva su questa piccola area. Così la popolazione locale non poteva decidere se volevano appartenere alla Germania, alla Cecoslovacchia, o (non è un errore!) alla Polonia.

Perdite territoriali della Germania nel trattato di Versailles (di qua)

Il territorio interessato nel referendum dell’Alta Silesia (di qua)

Tuttavia, gli abitanti di Hultschin/Hlučín non si sono rassegnati alla decisione delle grandi potenze. Nel novembre 1919 una grande manifestazione anti-ceca si è svolta nella zona. E per quanto ai referendum, anche loro hanno tenuto il proprio sulla base dei principi wilsoniani, che non fu mai riconosciuto come ufficiale dalla parte del governo ceco. Lì, la stragrande maggioranza della popolazione locale, il 93,7% delle 48.466 persone hanno votato a favore della Germania, nonostante il fatto che solo il 15%, o 6.500 persone (nelle fonti ceche, il 10%, o 4.500 persone) erano di lingua tedesca. Nonostante il referendum, il 4 febbraio 1920 l’esercito ceco è entrato nel territorio. Dovevano essere molto sorpresi quando, invece dei fiori dovuti ai liberatori, le masse sulle strade hanno cantato «Deutschland, Deutschland über alles».

Soldati cechi sulla piazza principale di Hultschin, 1920. Dall’archivio di famiglia di Pavel Strada, di qua

«L’ingiustizia contro il Territorio di Hultschin”. La proporzione dei voti ai partiti tedeschi (in nero) e a quei cechi (in bianco); le scuole tedesche (triangoli neri), e la manipolazione dei distretti elettoriali nell’interesse di una maggioranza ceca. «Senza referendum e nonostante la protesta della popolazione, il 4 febbraio 1920, Cecoslovacchia ha sequestrato: una città e 37 comunità con 50.000 abitanti e 333 chilometri quadrati di terra feconda (produttiva), e due miniere di carbone. Con l’eccezione di quelle a Zauditz e Thröm, tutte le scuole di lingua tedesca sono state chiuse. L’istruzione tedesca è disponibile solo in 30 centri di insegnamento privati.» (di qua)

A causa della demarcazione incerta dei confini, la determinazione precisa del confine tedesco-ceco si è trascinato fino al 1924. L’assegnazione delle comunità tedesche di Sandau, Haatsch e Owschütz, così come delle fattorie di Rakowiec e Lichtenhof che si situavano nella «terra di nessuno», è stata infine decisa dal Consiglio di Ambasciatori nel 1923. Nel senso del memorandum, che era favorevole ai cechi, la Cecoslovacchia ha ricevuto Sandau e Haatsch, mentre le fattorie di Lichtenhof e Rakowiec si sono restituite alla Prussia. Nei due villaggi tedeschi occupati dall’esercito ceco i locali hanno strappato le pietre di confine e distrutto le garrite al nuovo confine. L’esercito cecoslovacco è riuscito di ristabilire l’ordine solo più tardi, con l’aiuto di cinque battaglioni di fanteria e un battaglione di artiglieria.

Hultschin. Dalla serie di cartoline sui territori strappati, pubblicata dal Deutsches Ostbund


L’inclusione del Territorio di Hlučín nel nuovo stato non è andato liscio. Il potere ceco ha chiuso le scuole tedesche e licenziato gli insegnanti. Al censimento solo le persone con nome tedesco erano considerati come tedeschi, il resto è stato automaticamente registrato come ceco. Chi ha protestato contro questo, come Alois Bitta, il parroco di Ludgerstal, era multato di 2.000 corone. I genitori che protestavano contro la chiusura delle scuole, e che non permettevano ai loro figli di andare alle nuove scuole ceche, sono stati anche multati. Le pene detentive erano abbastanza comuni a causa delle proteste continue, in modo che il carcere di Hlučín era semplicemente chiamato «la casa tedesca» dai locali. Cica 4-5000 persone sono fuggite in Germania dalla persecuzione e la disoccupazione.

Alle prime elezioni sotto sovranità cecoslovacca, i partiti tedeschi hanno ottenuto 76,5% tra la popolazione, che era «morava nel linguaggio, ma tedesco nel pensamento» * E nel 1935 – per quando chiunque avrebbe pensato che le acque agitate fossero calmate – il Partito Tedesco delle Sudete guidato da Heinlein ha vinto 65% (secondo altre fonti, 75%). Alla luce di questo è facile capire perché nel 1938 i moravi di Hlučín hanno ricevuto i soldati tedeschi con fiori come liberatori.

Hultschin, il Ring. Con un timbro di festa: «Dopo 20 anni di servitù, la Hultschin liberata saluta il suo Führer. 8 ottobre 1938.» La cartolina è stata inviata una settimana più tardi.


Un giorno prima alla frontiera di Machendorf/Machnín, in attesa all’esercito tedesco.

L’esercito tedesco marcia in Asch/Aš.

La sinagoga di Hultschin/Hlučín. Costruita nel 1840-43, distrutta il 9 November 1938, nella Kristallnacht, un mese dopo la marcia dell’esercito tedesco nella Sudetenland.

L’annessione del Territorio di Hultschin era umiliante per la Germania non a causa delle sue dimensioni, ma piuttosto a causa del suo principio. Mentre la Cecoslovacchia, con il sostegno delle grandi potenze e con riferimento all’autodeterminazione dei popoli, era in grado di negoziare un nuovo confine per le circa 40 mila moravi in Germania (che non avevano nessun’intenzione di unirsi con la Cecoslovacchia), i 3,5 milioni di tedeschi sull’altro lato del confine aspettavano in vano allo stesso sul principio della reciprocità e dell’autodeterminazione.