mercoledì 23 aprile 2014

Palazzo fantasma

A Budapest, tra la Piazza dei Francescani e il Ponte Elisabetta stanno i due Palazzi Klotild. Sono uguali, separati solo dalla Via Szabad Sajtó. Come un’elegante porta consentono al visitatore di passare da Pest a Buda. L’Arciduchessa Klotild Maria von Habsburg annunciò nel 1899 una gara d’appalto per la costruzione dei palazzi, che fu vinto da Flóris Korb e Kálmán Giergl. La storia della costruzione è stata descritta in dettaglio e illustrata con molte foto d’archivio dal blog di storia urbana Kép-Tér.


I palazzi gemelli, costruiti tra il 1899 e il 1902, sono imponenti ed eleganti, dei gioielli determinanti della città.

Mentre il palazzo settentrionale è stato rinnovato, la sua controparte è ancora abbandonata, sede solo di fantasmi e ricordi. Vagando nel labirinto delle scalinate, ad ogni livelli si trova un’altra storia. Il ricordo delle bellissime finestre dipinte, progettate da Miksa Róth, e le stufe coperte da tegole smaltate della fabbrica Zsolnay di Pécs si trovano ancora tra le pareti rivestite in legno, se si devia dal percorso abituale, e si guarda negli appatamenti, dove ancora c’è una valigia, una camicia, una cassaforte Theodor Wiese con bei cassetti. Il palazzo era sede di uffici, appartamenti, locali commerciali, e del Caffè Centrale. E benché l’intero edificio sia ora vuoto, se si chiude gli occhi, non è difficile immaginare il movimento, la vivacità, le porte che si aprono, e il palazzo prende vita.


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Una caratteristica speciale dei Palazzi Klotild – dove fu installato il primo ascensore a Budapest – sono le torri e la città vista da loro. Da un unico punto si può vedere la Statua della Libertà, il Castello di Buda e il Parlamento. Uno spettacolo insuperabile.


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Grazie per l’Associazione Orczy Kultúrkert per l’organizzazione della visita.

domenica 20 aprile 2014

Via di Sant Francesc, angolo di Pare Nadal


A Palma la processó del Divendres Sant –la del Sant Enterrament– dibuixa gairebé un cercle des de la Plaça de Sant Francesc fins l’Esglèsia del Socors passant pel carrer de Sant Francesc, el de Colom, la Plaça Major i un bocí de Sant Miquel abans de tombar cap al carrer de Josep Tous Ferrer i enfilar la Porta de Sant Antoni. A Palma la processione del Venerdì Santo – la Santa Sepoltura – descrive più o meno un cerchio dalla piazza Sant Francesc alla chiesa della Vergine del Soccorso, passando per le strade di Sant Francesc e Colom, la Plaça Major, così come una parte della via Sant Miquel, prima che si volti sul Josep Tous Ferrer, e passi davanti alla Porta de Sant Antoni.


Nosaltres no ens moguérem de la cantonada del carrer del Pare Nadal, el lloc més estret de tot el recorregut, on els carros s’han de mirar molt per no tocar les parets i on els tambors ressonen més fort. La processó començà devers les set i a les onze encara partien les darreres confraries.Non ci moviamo dall’angolo della Pare Nadal, il punto più stretto di tutto il percorso, dove i carros devono prendersi molta attenzione a non toccare le mura, e dove i tamburi risuonano più forte. La processione inizia verso le sette, e alle undici anche le ultime confraternità avranno passato.


La fosca a voltes creix i cal encendre
la llàntia del cor: qui pot entendre
la nua veritat ama el soscaire.
–Llorenç Moyà–
A volte il buio cresce, allora accendi
la lampada interiore: chi la nuda
verità capisce, ama la solitudine.
–Llorenç Moyà– *


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martedì 15 aprile 2014

Sapone Otta


La Koží, cioè Strada della Capra, l’ex Ziegengasse nel centro storico di Praga conserva, come un fossile geologico, le tracce dove l’asanace – il risanamento, cioè la completa eliminazione dell’affollato quartiere povero, sopratutto del quartiere ebraico, che ha avuto inizio con forza sismica nel 1893 – si è fermata nel 1920. Il lato sinistro della strada è stata sollevata al livello dei recentemente eretti palazzi neorinascimentali e liberty, il quale, come un lago di superficie liscia, si estende sopra le scomparse strade tortuose dell’ex Josefov, abbracciando, come un’isola negativa, il cimitero ebraico e le due sinagoghe superstiti, che si situano a un livello più basso. Il lato destro della strada però è rimasto al livello pre-risanamento, e le sue strade tortuose continuano il tessuto mancante di Josefov.


Sto divagando nel quartiere di San Castalio, che è alla distanza di solo un centinaio di metri, ma almeno di un centinaio di anni dagli palazzi della Praga liberty, quando nella Via della Misericordia, sul muro di dietro dell’abbandonato e decadente Gemeindehaus medievale scorgo una curiosa pubblicità d’intonaco.


La pubblicità fantasma promuove il Sapone Otta. Il suo logo, il gambero di fiume (in ceco, rak) riferisce al fatto che la società è stata fondata a Rakovník/Rakonitz da Joseph Otta nel 1869. Ma quando si è dipinta qui? I limiti di tempo sono abbastanza larghi, in quanto la società Otta, seppur nazionalizzata, funzionava ancora dopo la guerra, fino agli anni 1990, quando fu acquistata da Procter & Gamble.

Sto ricercando nella biblioteca le tracce di una locanda scomparsa di Praga, l’Angelo d’Oro di Smíchov, sull’altra sponda della Moldva, quando tra le vecchie fotografie di Smíchov all’improvviso mi imbatto in questa, che raffigura amely a l’edificio Štefánikova 9/55:


Il numero adiacente 10/53 è stato costruito negli anni 1920, lasciando il muro maestro del numbero 55 libero e adatto per la pubblicità. La foto è stata fatta nel 1935. Le pubblicità cambiano rapidamente, siccome la loro efficacia si basa sulla novità. Pertanto molto probabilmente anche la pubblicità d’intonaco in Via della Misericordia deriva da quel periodo. Dunque ha publicizzato il Sapone Otta per almeno ottanta o novanta anni, dalla fine del risanamento del centro storico, ormai per la quinta generazione. Il tempo si è davvero fermato in Via Koží.

Tábor, la torre della Mostra Industriale e Militare della Boemia del Sud del 1929, da dove il Presidente della Repubblica è stato accolto con trombe, di qua

«Un enigma. Bambini, che cos’è questo? Una figura? No! È il nome ʻOtta’, il sapone con il logo del gambero. È eccellente, e buono per tutto.»

«Vola per tutto il mondo senza ali / la fama eccellente del Sapone Otta»


sabato 12 aprile 2014

Cartolina con bambini sconosciuti


Album di famiglia:
Alba, 1867
Hong Kong, 1897
Marseille, 1900
Paris, 1904
Valenciennes, 1918
Buenos Aires, 1930
Questa foto non è dall’album, ma è una di quelle che ho trovato nella scatola. Una foto con un timbro su di essa, e una lettera sul retro.

È impossibile decifrare la data sul timbro, ma dal contenuto della lettera si può ammettere che essa fosse stata scritta poco dopo la nascita di mia prozia – diciamo, nel 1904.

Non so neanche dove sia stata scattata la foto, quindi è possibile, che la mia ricostruzione sia solo pura fantasia.

Diciamo che ho trovato un luogo, il quale, più di un secolo fa, avrà potuto essere questo posto.

Un luogo oggi abbandonato, infatti abbandonato già dopo la morte del vecchio fabbro trent’anni fa. La vedova ha allora chiusa la casa e l’officina, e se n’è andata via.


Potrà essere il fabbro uno dei bambini sulla foto? No, lui era troppo giovane per quello quando morì, non avrà potuto essere nato prima del 1910. Sarà piuttosto il figlio di uno degli uomini che sorridono a noi.

E le due piccole bambine, allora? Nate intorno il 1900?
Non so niente su di loro.


Ma nel villaggio ci sono storie di due bambine come queste, due sorelle orfane, educate di cura comune. Non si sono mai sposati, rimasero servanti fino alla loro morte. La più vecchia, solo di un anno, si chiamò Louise, la più giovane Blanche.
Io conoscevo solo Blanche, quando ero bambina. Louise era già morta da anni, ma mio padre si ricordava ancora, come lei lo ha inseguito, quando era bambino, e lo ha frustato con ortiche in un impeto di rabbia. La Blanche che io conoscevo era una donna grande, selvaggia, con un nodo di capelli bianchi, che spinegva una carriola piena di biancheria, e parlava a se stessa. Aveva un cane nero vecchio, stanco, e lei continuava a gridargli nei vicoli del villaggio: «Allez viens, Gamin!» – «Vieni su, Biricchino!»
Era infatti una spaventosa vecchia signora, ma anche lei deve essere stata una bambina molto tempo fa, come tutte le altre. Un giorno, venendo dal lavatoio, ha incontrato mia madre sulla strada, e anche se lei non parlava a nessuno, si tuffò nel suo cestino, tirò fuori un mazzo di cipolle, e lo diede a mia madre. «Prendi, è tua», disse. Spero che per quelle cipolle ha ottenuto un tranquillo piccolo angolo nel Paradiso.

Per quanto all’officina abbandonata, presumo che sia lo stesso vecchio luogo che quello sulla cartolina. L’artigiano era un modesto lavoratore di ferro, che ha preparato cancelli in ferro, grondaie, griglie, catene, tiranti per i muratori e falegnami del paese – alcuni di questi pezzi sono ancora in attesa di essere utilizzati, appoggiati contro il muro. E dietro le finestre polverose l’officina appare molto tranquilla, spettralmente tranquilla, con tutte le macchine in attesa di ricominciare il lavoro.

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giovedì 10 aprile 2014

Transizione: Pattini a rotelle tradizionali

Berlino, Schloßstraße, Settimana della scarpa olandese, febbraio 2014, da qui

Praga, Centro storico, Řetězová 245/8, «U černého strevíce» (Casa della Scarpa Nera), facciata 1603

Pane


Nel mercato afollato non c’è pausa. Il brulichio e brusio degli acquirenti e venditori turbinano come una nuvola di mosche nel calore polveroso e sonnifero del pomeriggio. Donne in fazzoletto e in abiti lunghi di tessuto stampato a colori clamorosi muovono attraverso la folla, i loro sorrisi pronti rivelano muri di denti d’oro. Uomini tarchiati in lunghi cappotti e berretti ricamati si stringono le mani dietro la schiena, e studiano le merci con un occhio diffidente e un’indifferenza praticata, pronti a contrattare anche per la più piccola riduzione di prezzo.

Giovani, alcuni di loro ancora bambini, sorvegliano le bancarelle che vendono cassette di provenienza inchiara, con le carte fotocopiate invece di etichette. Altri ragazzi offrono bevande fredde miste sul posto, stillando lo sciroppo di color pastello da tubi di vetro nell’acqua gassata. Le bancarelle dei macellai puzzano nel calore del sangue di animali appena macellati, mentre gli acquirenti inspezionano già l’offerta, e litigano per un taglio migliore per i loro soldi.

Non c’è pausa, voglio dire, eccetto nelle case da tè, dove la gente siede in ombra, su piattaforme sopraelevate con divani e tavolini, o a volte su sedie intorno a tavoli di stile occidentale. Davanti a loro, tazze di tè – verde o nero? con latte o senza? – dolcificato con le pepite d’oro dello zucchero di canna. Il tè arriva quasi invariabilmente in semplici teiere ovoidali smaltati in blu, oro e bianco con l’immagine stilizzata del cotone, la principale coltura da reddito della regione.

Ordiniamo il nostro tè – зелёный с молоком, пожалуйста –, e consideriamo il cammino che abbiamo fatto fino a questo punto più lontano da qualsiasi mare del mondo, a Andijon nella valle fertile e leggendaria della Fergana, nell’Uzbekistan orientale. Qui lo straniero è sempre guardato, e non può sperare di mescolarsi tra la folla. Occhi ci seguono ovunque, a volte diffidenti, a volte curiosi o confusi, forse chiedendosi perché siamo venuti, fra tutti i luoghi, appunto in questo angolo del globo.

Sorsiamo lentamente, dando qualche minuti di riposo ai nostri piedi gonfi, e guardiamo come i giovani assistenti, supervisionati dal maestro fornaio, mettono palla di pasta cruda dopo palla nel tradizionale forno di fossa, per pronto offrirle come pane fresco sulla tavola lunga.