martedì 31 dicembre 2013

Un bel Capodanno


e un felice anno nuovo! (Khuzhir, Lago Baikal, Isola Olkhon, 1972)




Tedeum




venerdì 20 dicembre 2013

Altra città



Konstantinos Kavafis: Η Πόλις (La Città). Musica di K. G. Eklektos

Η Πόλις

Είπες· «Θα πάγω σ' άλλη γή, θα πάγω σ' άλλη θάλασσα,
Μια πόλις άλλη θα βρεθεί καλλίτερη από αυτή.
Κάθε προσπάθεια μου μια καταδίκη είναι γραφτή·
κ' είν' η καρδιά μου -- σαν νεκρός -- θαμένη.
Ο νους μου ως πότε μες στον μαρασμό αυτόν θα μένει.
Οπου το μάτι μου γυρίσω, όπου κι αν δω
ερείπια μαύρα της ζωής μου βλέπω εδώ,
που τόσα χρόνια πέρασα και ρήμαξα και χάλασα».

Καινούριους τόπους δεν θα βρεις, δεν θάβρεις άλλες θάλασσες.
Η πόλις θα σε ακολουθεί. Στους δρόμους θα γυρνάς
τους ίδιους. Και στες γειτονιές τες ίδιες θα γερνάς·
και μες στα ίδια σπίτια αυτά θ' ασπρίζεις.
Πάντα στην πόλι αυτή θα φθάνεις. Για τα αλλού -- μη ελπίζεις --
δεν έχει πλοίο για σε, δεν έχει οδό.
Ετσι που τη ζωή σου ρήμαξες εδώ
στην κώχη τούτη την μικρή, σ' όλην την γή την χάλασες.
La Città

Hai detto: Per altra terra andrò, per altro mare,
altra città trovo, più bella di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore, come un morto, sta sepolto.
Fino a quando deve rimanere mio spirito
in questa palude? Dove pure guardo,
non vedo che le ruine nere della mia vita
qui, dove tanti anni ho spento, sprecato e rovinato.

Altri posti, altro mare non troverai.
La città ti seguirà. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai
negli stessi quartieri. Imbiancherai
nella stessa casa. Nella stessa città
ritornerai sempre. In altre terre, non sperare,
non c’è nave per te, non c’è strada. Perché
rovinando la tua vita in quest’angolo
discreto, l’hai rovinata su tutta la terra.

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sabato 7 dicembre 2013

Alexander Roinashvili, viaggiatore e etnografo

L’attore georgiano Valerian «Valiko» Gunia (1862-1938)

Un fotografo dal secolo scorso, da un piccolo territorio al confine tra l’Europa e Medio oriente, che non è completamente né questo, né quello. Un passaggio fra l’impero russo, l’impero ottomano e l’impero persiano. Una crocevia di popoli, un mondo che si veste in costumi meravigliosi, un mondo che ama il teatro, un mondo già in trasformazione, ma ancora un mondo in pace.



Alexander Roinashvili e il suo alterego,fotomontaggio

L’anno scorso abbiamo già pubblicato una prima serie di foto dal georgiano Alexander Roinashvili (1846-1916). Erano soprattutto ritratti fatti nel suo studio a Tiflis – oggi Tbilisi –: ritratti di aristocrati, di soldati e poeti, di principesse e attrici, di famiglie – e tutte le varie facce degli innumerevoli popoli del Caucaso.

Il complesso monastico di Vardzia

Le foto di questo secondo post riflettono un’altra parte del suo lavoro. Cominciando dal 1880, Roinashvili ha vissuto e viaggiato nel Caucaso, da Kakheti a Dagestan. Non solo fotografando, ma anche raccogliendo oggetti, che lo hanno reso di seguito uno dei fondatori della Società Storica ed Etnografica di Tiflis, le cui collezioni, prima ospitate dall’Università di Tiflis, sono ora conservate nel Museo Nazionale della Georgia.

A differenza delle immagini viste nel post anteriore, queste foto furono soprattutto scattate all’aria aperta, come quelle di Jermakov, contemporaneo e amico di Roniashvili. Sono le foto di paesaggi, delle montagne lungo la strada militare georgiana, dei villaggi e montagne di Dagestan, dove Roinashvili si è stabilito per un periodo, rovine di chiese e fortezze armene, sia nell’Armenia attuale, o nei territori russi che oggi sono la parte nord-est della Turchia.


E ci sono ancora i moltissimi ritratti, che riflettono ancora una volta la diversità dei popoli del Caucaso: armeni, georgiani, tatari, lezghi, ebrei di montagna dall’Azerbaigian. Immagini che ravvivono dei tempi antichi: i guerrieri di Khevsuria in corazza a maglia, i mekize (massaggiatori) dai bagni di Tiflis, in piedi sul dorso dei loro «pazienti», e tutte queste donne con volto severo sotto le loro vele…

In questi ritatti Roinashvili ha seguito le considerazioni degli etnografi della sua epoca. La maggior parte di queste fotografie era realizzata ancora nello studio, con illuminazione diffusa, le facce esposte di fronte e di profilo, con un’annotazione sul negativo che indica il rispettivo gruppo etnico. La messa in scena degli soggetti seduti enfatizza i costumi, i tessuti e i gioielli. Le immagini dei gruppi sono più sciolte, ma la maggior parte di esse sono ancora fatte in studio.

Alcune – rare – foto rappresentano la folla – la folla sulla strada, la folla nel mercato, la folla riunita per una festa, tutti con occhi volti verso di noi.

Musici, Tiflis


Ebrei di montagna, Azerbaigian

lunedì 18 novembre 2013

Un’epifania georgiana


Solo una suora.


Solo candele.
Solo pietre.
Solo una chiesa.
Solo un cimitero.
E mura.
E tubi.

E immagini tremanti.


E solo bambini.
Solo gatti.
Solo monaci, solo preti.
Solo uccelli.
Solo uomini.
E donne.



E oggetti abbandonati che vivono ancora la loro vita dimenticata tra le rovine.

E il cielo sopra tutto.



Keep Ithaka always in your mind.
Arriving there is what you are destined for.
But do not hurry the journey at all.
Better if it lasts for years,
so you are old by the time you reach the island,
wealthy with all you have gained on the way,
not expecting Ithaka to make you rich.

Ithaka gave you the marvelous journey.
Without her you would not have set out.
She has nothing left to give you now.

And if you find her poor, Ithaka won’t have fooled you.
Wise as you will have become, so full of experience,
you will have understood by then what these Ithakas mean.

From Ithaca, Constantin Cavafy


E la malinconia. Dalla guerra e dall’esilio. Dall’assenza. Dal decadimento.

Lado Pochkhua è un pittore e fotografo georgiano, le cui opere sono state presentate questo mese presso il Museo Nazionale di Tbilisi. È nato a Sukhumi, ma fu costretto a trasferirsi a Tbilisi nel 1993, dopo la guerra civile, quando l’Abkhazia ha proclamato la sua indipendenza, e i separatisti hanno espulso la popolazione georgiana dalla regione.

«All’età di ventitré anni ho perso tutto: la famiglia, gli amici, la mia città, la mia casa, i miei documenti. In Tbilisi, come rifugiato da Abkhazia, ho scoperto una vita nuova, disordinata e affamata. Che io sono nessuno. Zero. Una persona senza una funzione sociale. Dopo aver ricevuto il mio primo pacchetto di aiuto umanitario, un kit di fagiolo e carne confezionato dell’US Army, mi sono promesso che uscirò dal guaio in cui ero caduto.»

Le fotografie della serie «Anatomia della malinconia georgiana (1993 – 2004)» si sono fatte mentre viveva in Tskneti, un sobborgo di Tbilisi, dove i rifugiati erano stabiliti dopo la fuga della guerra in Abkhazia. A quel tempo,Lado Pochkhuva imparava inglese dall’Anatomy of Melancholy di Robert Burton.



giovedì 10 ottobre 2013

Rovere


Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.





Cesare Pavese: The cats will know (en)


domenica 6 ottobre 2013

Transizione: Giochi

Illustrazione di Shaun Tan dall’Arrival

Ieri abbiamo illustrato con quest’immagine la deprimente storia d’immigrazione, assurdamente presentata come un gioco per bambini. Ma non si può inventare niente di più assurdo che la vita reale. Quasi un centinaio di anni fa, tale immagine è stata già utilizzata per illustrare un vero gioco per bambini.

Guerra chimica. Gioco da tavolo sovietico per bambini, di A. V. Kuklin. Editore Statale, 1925
Vedi il nostro post sui primi giochi da tavolo sovietici per bambini

sabato 5 ottobre 2013

Gioco



Karpatt, Un jeu (Un gioco). Dal CD Sur le quai (2011)

Maman m’a montré un jeu quand j’étais tout p’tit
Tu vas voir c’est très marrant on va changer d’pays
Chez nous c’est pas facile, notre cabane est en bois
On va prendre un bateau y a pas d’place pour papa
C’était très rigolo les gens jouaient à tomber dans l’eau
Je sais qu’ils faisaient semblant, je l’sais j’suis pas idiot
Mamma mi ha mostrato un gioco, quando ero piccolo:
vedrai com’è divertente, cambiamo paese
la vita non è facile qui, la nostra capanna è di legno
prenderemo una barca, non c’è posto per papà.
È stato molto divertente, la gente giocava a cadere in acqua
ma io sapevo che stavano fingendo, non sono stupido.


Maman m’a montré un jeu quand j’avais mal au ventre
Tu vas voir c’est très marrant on va jouer à attendre
Quand on s’ra arrivé tu mangeras tout les jours
On gagnera plein d’argent pour faire venir papa un jour
De l’autre côté d’la mer, on a couru sur une plage
Y avait les sirènes de police on s’est caché sous les branchages
Mamma mi ha mostrato un gioco, quando avevo mal di stomaco
vedrai com’è divertente, giochiamo ad aspettare
quando si arriva, mangerai ogni giorno
guadagneremo un sacco di soldi per portare papà un giorno.
Sull’altro lato del mare siamo corsi sulla spiaggia
c’erano le sirene della polizia, ci siamo nascosti sotto gli alberi.


Maman m’a montré un jeu faut s’trouver un abri
Tu vas voir c’est très marrant on va camper la nuit
Y avait plein d’gens comme nous qui jouaient à cache-cache
On s’est fait une cabane dans un tuyau avec des vaches
Et puis toute la journée on attendait près des feux rouges
On lavait les voitures toutes les voitures avant qu’elles bougent
Mamma mi ha mostrato un gioco, dobbiamo trovare rifugio
vedrai com’è divertente, campeggeremo di notte
C’era molta gente come noi che giocava a nascondino,
abbiamo fatto una capanna in un campo con le mucche.
Poi aspettavamo tutt’il giorno al semaforo rosso,
dovevamo lavare tutte le macchine prima che partissero.


Maman m’a montré un jeu faut s’trouver d’l’argent
Tu vas voir c’est très marrant faut tendre la main aux gens
Elle rentrait pas souvent, elle travaillait le soir
Elle se faisait très belle pour attendre sur un trottoir
Moi j’aimais pas trop ça quand elle montait dans les voitures
Avec des gars bizarres qui lui faisaient des égratignures
Mamma mi ha mostrato un gioco, dobbiamo trovare soldi
vedrai com’è divertente, devi solo tener la mano alla gente
lei tornò di rado, ha lavorato di notte
si è fatta molto bella per aspettare su un marciapiede.
Non mi piaceva quando si è seduta nelle macchine
con ragazzi strani che le hanno fatto graffi.


Maman m’a montré un jeu faut s’trouver des papiers
Tu vas voir c’est très marrant on va jouer à s’cacher
Les flics nous on trouvé ils ont cogné sur nos têtes
Je savais bien qu’c’était qu’un jeu alors j’ai pas fait la mauviette
J’ai pas pleuré quand on nous a attaché dans l’fond d’un avion
J’ai compris qu’on avait gagné au grand jeu de l’immigration
Mamma mi ha mostrato un gioco, dobbiamo trovare carte
vedrai com’è divertente, fino allora giochiamo a nascondino.
I poliziotti ci hanno trovati, ci hanno urtato la testa.
Sapevo che era solo un gioco, quindi devo persistere
così non ho pianto quando ci hanno legato su un aereo,
sapevo che avevamo vinto il grande gioco dell’immigrazione.