Solo candele.
Solo pietre.
Solo una chiesa.
Solo un cimitero.
E mura.
E tubi.
E immagini tremanti.
E solo bambini.
Solo gatti.
Solo monaci, solo preti.
Solo uccelli.
Solo uomini.
E donne.
E oggetti abbandonati che vivono ancora la loro vita dimenticata tra le rovine.
E il cielo sopra tutto.
Keep Ithaka always in your mind.
Arriving there is what you are destined for.
But do not hurry the journey at all.
Better if it lasts for years,
so you are old by the time you reach the island,
wealthy with all you have gained on the way,
not expecting Ithaka to make you rich.
Ithaka gave you the marvelous journey.
Without her you would not have set out.
She has nothing left to give you now.
And if you find her poor, Ithaka won’t have fooled you.
Wise as you will have become, so full of experience,
you will have understood by then what these Ithakas mean.
From Ithaca, Constantin Cavafy
E la malinconia. Dalla guerra e dall’esilio. Dall’assenza. Dal decadimento.
Lado Pochkhua è un pittore e fotografo georgiano, le cui opere sono state presentate questo mese presso il Museo Nazionale di Tbilisi. È nato a Sukhumi, ma fu costretto a trasferirsi a Tbilisi nel 1993, dopo la guerra civile, quando l’Abkhazia ha proclamato la sua indipendenza, e i separatisti hanno espulso la popolazione georgiana dalla regione.
«All’età di ventitré anni ho perso tutto: la famiglia, gli amici, la mia città, la mia casa, i miei documenti. In Tbilisi, come rifugiato da Abkhazia, ho scoperto una vita nuova, disordinata e affamata. Che io sono nessuno. Zero. Una persona senza una funzione sociale. Dopo aver ricevuto il mio primo pacchetto di aiuto umanitario, un kit di fagiolo e carne confezionato dell’US Army, mi sono promesso che uscirò dal guaio in cui ero caduto.»
Le fotografie della serie «Anatomia della malinconia georgiana (1993 – 2004)» si sono fatte mentre viveva in Tskneti, un sobborgo di Tbilisi, dove i rifugiati erano stabiliti dopo la fuga della guerra in Abkhazia. A quel tempo,Lado Pochkhuva imparava inglese dall’Anatomy of Melancholy di Robert Burton.
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