martedì 17 marzo 2015

Lettere a San Pietro dalla Rutenia


Nel trattato Modus epistolandi, cioè L’arte di scrivere lettere (1488), che era molto popolare nell’Europa del Rinascimento, Francesco Nigro ha dato istruzioni retoriche precise e dettagliate per la scrittura di non meno di venti tipi di lettere. Il primo era il commendatitium o lettera di raccomandazione, che era diviso in due sottotipi, e ciascuno di essi in quattro parti obbligatorie. In seguito molti altri umanisti hanno aggiunto i loro due centesimi a queste norme retoriche, raccogliendo e adattando le idee e gli esercizi dell’antica progymnasmata. Non solo Erasmo, Vives e Lipsio, l’elenco è molto più lungo: Gasparino Barzizza, Juan Lorenzo Palmireno, Giulio Cesare Capaccio, Bartolomé Bravo, Juan Vicente Peliger, Badio Ascensio, Sulpizio di Verola, Gaspar de Tejeda, Henri Estienne, Basin de Sendacourt, Heinrich Bebel, Valentinus Erythraeus, Pietro Bembo, Tomás Gracián Dantisco, Espinosa de Santayana, Moravus de Olomouc, e così via. E benché nessuno di questi autori ci abbia offerto un’istruzione per scrivere lettere di raccomandazione all’Aldilà, tuttavia tali lettere esistevano, erano regolarmente scritte seguendo formule controllate, cosparse con il polverino, sigillate, e indirizzate a non meno che allo stesso San Pietro, nelle sue proprie mani.

La notizia di queste lettere venne alla Spagna dalla Rutenia, come l’umanista, numismatico, arcivescovo di Tarragona, e straordinariamente curioso uomo, don Antonio Agustín (1517-1586) l’ha notato nel suo taccuino manoscritto. A folio 23 di questo libretto, chiamato Alveolus, e scritto attorno a 1555, troviamo questa relazione sulla tradizione della «chiesa rutena»”: *


“Rutheni populi Moschouitarum sunt Polonis contigui, quorum regem adgnoscunt; et in religione Patriarcham Constantinopolitanum, cuius ritum, ceremonias et instituta sequuntur. Eorum prouincia nunc Russia nuncupatur. Lingua Dalmatica loquuntur, cuius per uniuersum orientem magnus usus est; characteres mixti Grecis atque Barbaris Sclauonicis quos appellant. Hi populi ridiculam consuetudinem exequiarum obseruant. Mortuorum enim parentes affines propinquí et amici, litteras ab Archiepiscopo prouintiae suae accipiunt, et sigillo et subscriptione firmatas: quibus Archiepiscopus sancto Petro scribit, mortuum propinquum et amicum commendans; rogans mortuo liceat in consortium coelitum adscribi. Quae littere mortui manui inseruntur; unaque cum iis, tamquam eas diuo Petro Vitae Innocentiaeque suae testes redditurus, sepelitur. Emuntur autem magno tales littere; neque cuiquam nisi soluenti pecuniam conceduntur. Quo fit, ut pauperes eas non accipiant, scribuntur lingua Dalmatica. Earum formulam, ex ea lingua translatam in Latinam a Georgio Ticinensi Lithphano, infra suscribi iussimus:

«MACARIVS Dei gratia Ecclesiarum Domini Dei nostri in hoc corruptibili mundo uicarius, tibi Petro qui olim summus Christi in terris uicarius extitisti, notificamus: quod nuper non sine ingenii moerore, Dilecti filii Ecclesiae Dei, nobis rettulerunt; quendam Nicolaum Gregorii Filium, hanc miseriis plenam uitam reliquisse; in aliumque felicem ac deliciis plenum mundum commigrasse. In quo fidelium omnium animulae, omnibus desiderato Domini nostri Jesuchristi, eiusque matris incorruptae intuitu frui ac gaudere numquam cessant. Quas opera tua in regnum coelorum, cuius ianitor et clauiger existis, esse admissas receptasque nemo ambigit. Nam eam clauium potestatem, ipse humani generis restauratos, tibi iam in coelis uero in terris indubie concessit, quos suarum Ecclesiarum in hoc mundo presides esse uoluit.

Cum igitur officii nostri sit ad te, de conuersatione eorum qui relicto hoc mundo istuc commigrant, rescribere, ideo, indubiam tibi litteris his nostris fidem facimus Nicolaum Gregorii Filium, toto tempore uitae suae pie ac christiane uixisse, neminem offendisse, ac omnia Ecclesiarum Dei praecepta, diligenter obseruasse. Quem, prius quam deo conditori suo spiritum commodaticium reddidisset, ab omnibus suis peccatis, quibus diuinam Maiestatem aliquando offendit, absoluimus. Et, propterea iustum esse censemus, quod in conspectum Domini Dei conditoris nostri admittatur; electorumque Dei numero tuis meritis precibusque adiutus, adscribatur. Quod ut pro more officioque tuo facias, supplices petimus. Datum, etc. Sub manu, et sigillo nostro.»” (Alveolus. Manuscrito escurialense S-II-18, Madrid, FUE, 1982, 33-35.)


«I ruteni sono un popolo moscovita nella vicinanza dei polacchi, il cui re riconoscono come loro signore. In materia religiosa riconosconon il Patriarca di Costantinopoli, e seguono i suoi riti, cerimonie e istituzioni. La loro regione è ora chiamata la Terra dei Russi. Parlano la lingua dalmata [slavo ecclesiastico], che è abbastanza diffusa in tutto l’Oriente. La loro scrittura è un misto del greco e delle lettere della barbara lingua slava, come la chiamano. Questi popoli hanno un ridicoloso rito funerale. I parenti e gli amici stretti del defunto ricevono una lettera sigillata e firmata dall’arcivescovo della diocesi, il quale la indirizza a San Pietro, raccomandando il defunto nella sua amicizia e compagnia. Mettono questa lettera nelle mani del defunto, e lo seppelliscono con essa, come testimonianza della sua vita e innocenza. Queste lettere hanno un prezzo elevato, e non si concedono a nessuno a meno che non paga per loro. Così i poveri non le possono avere. Sono scritte in lingua dalmata. Il loro testo, tradotto da Giorgio di Pavia da questa lingua, è come segue:

ʻMakarios, per grazia di Dio vicario della Chiesa di Dio nostro Signore in questo mondo corruttibile, comunichiamo a te, o Pietro, che una volta eri il vicario supremo di Cristo in questa terra, che di recente siamo stati visitati da alcuni amati figli della Chiesa di Dio, che avevano raccontato con grande dolore, che un certo Nicola, figlio di Gregorio ha lasciato questa vita piena di miserie, e si era trasferito a quella felice, piena di gioia, in cui le animule di tutti i credenti non smettono di gioire e godere della visione, desiderata da tutti noi, del nostro Signore Gesù Cristo e della sua Madre incorrotta. Alla quale senza dubbio sei tu che le ricevi e le permetti di entrare, essendo tu il guardaportone del regno dei cieli, poiché nella tua mano depositò il potere delle chiavi il Rinnovatore della razza umana, che voleva che tu sia il superiore della Sua Chiesa in questo mondo.

Essendo quindi nostro dovere riferirti della condotta di coloro che si trasferiscono di questo mondo a quello, ti facciamo sapere senza dubbio e testimoniamo con fede, che Nicola, figlio di Gregorio ha vissuto in modo pio e cristiano per tutto il tempo della sua vita, non facendo male a nessuno, e diligentemente osservando tutti i comandamenti della Chiesa di Dio. E prima di consegnare la sua anima a Dio, suo Creatore, lo abbiamo assolto da tutti i peccati, con cui aveva mai offeso Sua Divina Maestà. Riteniamo pertanto giusto permettergli di essere ammesso alla presenza di Dio, nostro Signore, e iscritto tra il numero degli eletti, con l’aiuto dei tuoi meriti e preghiere. Ti preghiamo di concederlo e farlo per la tua solita misericordia e condiscendenza. Data ecc. Dalla nostra mano e sigillo.’»


La nostra immaginazione è infiammata dal prezzo elevato che si doveva pagare all’arcivescovo per queste lettre, e che li ha resi inaccessibili ai poveri. Come poteva essere il mercato nero di queste lettere, le violazioni dei sepolcri, l’eliminazione del nome del defunto nella lettera, e la loro disposizione nella mano di un altro, meno ricco defunto, le raffinate tecniche dei falsari specializzati di firme e sigilli, con i quali erano in grado di ingannare lo stesso guardaportone del Paradiso… O forse questa idea è del tutto inconcepibile per un ruteno, e può sorgere solo nella picaresca fantasia iberica?

Ma se è così, come ha potuto una di queste lettere finire nelle mani di Don Antonio?


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Le nostre illustrazioni sono bandiere processionali dei villaggi ruteni nella collezione del Museo dell’Icona di Leopoli/Lviv/Lwów/Lemberg


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