domenica 18 agosto 2013

Mutazioni

Dea con gambe di serpente (forse la Mixoparthenos). Lamina d’oro, lavoro greco, metà del  4° sec. a.C., dal Kul Oba kurgan, da qui

Gli sciti, questi cavalieri nomadi di origine iraniana (il loro più vicino vivente relativo di lingua è l’osseto, che appartiene al gruppo orientale dell’iraniano nuovo) è apparso intorno al 7° secolo a.C. a nord del Mar Nero, e spodestando i cimmeri, hanno presto occupato la regione tra i Carpazi e il Caucaso. Alla fine del medioevo la loro memoria – insieme con quella dei sarmati e degli unni – ha sopravvissuto solo in oscuri miti d’origine dell’Europa centrale. Per l’Europa antica e medievale il loro nome significava per lungo tempo tutti i popoli nomadi provenienti dall’Oriente in generale (benché in questo senso anche la formulazione di Erodoto non è molto chiaro), e la versione accadica (askuza/iskuza), che si è poi trasmesso all’ebraico biblico nella forma אשכנז ashkenaz, indicherà più tardi gli ebrei dell’Europa centrale nella diaspora.

Ma quando appaiono, sono loro i «primi barbari» nella storia dell’Europa, il primo popolo nomado asiatico descritto in dettaglio da fonti occidentali, in particolare da Erodoto. I customi attribuiti agli sciti, riportati anche da Erodoto nel quarto libro della sua Storia (come per esempio la preparazione di coppe dai crani dei nemici) diventano più tardi topici della letteratura antica e medievale, e li ritroviamo anche nelle desscrizioni di altri popoli nomadi provenienti dall’Est.

La Mixoparthenos dal lapidario di Kerch.
Dall’attuale grande mostra sulla Crimea nel LVR-Landesmuseum di Bonn

Erodoto narra vari miti d’origine scita, fra cui uno gli è stato detto «dai greci che vivono lungo il Ponto». Questa storia dice che Eracle, mentre guidava il bestiame di Gerione nel territorio della futura Scizia, ha perso i suoi cavalli in una tempesta di neve. In cerca di essi è arrivato a una terra chiamata Ilaia, dove in una grotta ha incontrato la Mixoparthenos, la regina della regione. L’essere, il cui corpo superiore era di femmina, ma il corpo basso di serpente, gli ha fatto sapere che i cavalli li aveva lei, ma in cambio del loro ritorno l’eroe ha dovuto dormire con lei. Ercole infine genera tre figli – Agatirso, Gelone e Scite – alla Mixoparthenos, e le dice, che colui che sarà capace di piegare l’arco del padre e mettersi la sua cintura, meriterà di essere il re della regione. Questo sarà il figlio più giovane, Scite, antenato dei re della Scizia, mentre i sciti, «per commemorare la coppa appesa alla cintura di Eracle, tutt’oggi indossano coppe sulle loro cinture».

L’ottavo compito di Eracle: cogliere i cavalli antropofagi del re tracio Diomede. Moneta di Sauromate II, re di Bosforo, 2° secolo d C. Fonte

La creatura sireniforme di questa storia mista, che include sia elementi greci che orientali, come Neal Ascherson sottolinea, presto diventa il simbolo del Regno del Bosforo dalla cultura mista, greco-scito-tracia, che abbracciava le colonie greche lungo la costa settentrionale del Mar Nero, e della sua capitale Pantikapaion (oggi Kerch), fino alla sua distruzione nel 4° secolo d.C. Ma Ascherson menziona anche una sopravvivenza ancora più interessante della Mixoparthenos:

«Ma la Mixoparthenos ha sopravvissuto anche in un altro modo del tutto pratico. È diventata una maniglia. Il suo corpo snello, curvando verso l’esterno ma poi di nuovo ricurvando alla testa e alle gambe di serpente, è divenuto l’ansa ornamentale indurita sul cerchio delle tazze di ceramica, rivettata o saldata ai vasi di bronzo o di vetro. È rimasta senza nome, ma utile per molto tempo dopo che la sua città era bruciata e i suoi figli hanno lasciato la storia.

Sconosciuta, la Madre dei Sciti vive ancora in mezzo di noi. L’altro giorno, in una delle vecchie stazioni ferroviare asburgiche a Budapest, ho sentito qualcosa di insolito mentre ho aperto la pesante porta doppia della biglietteria. Nella mia mano c’era, in ottone indossato lucide da milioni di viaggiatori, il corpo di una donna nuda, diviso sotto l’ombelico in due serpenti arrotolati.» (Neal Ascherson: The Black Sea)


Non a Budapest, ma assomiglia. La maniglia della porta del Virginia Center for Architecture, di qua

Ma ho cercato in vano le sue tracce nelle stazioni ferroviarie di Budapest, non ho ritrovato la Mixoparthenos. La maniglia vista da Ascherson è stato probabilmente sostituita. Ma anche così non è scomparsa senza lasciare traccia. Anche se la sua figura si è fusa con il sirene comune (più precisamente, con quella a due code, la Melusina), la matriarca scita con due gambe di serpente ancora si può vedere oggi, e addirittura in un luogo molto insolito, nel logo dei caffè Starbucks.

La sirena del logo di Starbucks è diventato gradualmente sempre più «timido». Vedi su questo l’articolo di Michael Krakovskiy, nato a Odessa.

2 commenti:

  1. Che dire dell'Abraxas di Basilide?
    Qui http://www.memphismisraim.it/id75.htm

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  2. Una buona proposta. C’è infatti una somiglianza, in quanto sia la Mixoparthenos che l’Abraxas hanno due gambe di serpente. È invece differente l’ontologia delle serpenti-gambe. Le due gambe dell’Abraxas sono due serpenti, che guardano fuori, in modo che i piedi dell’Abraxas sono le teste di essi, e simboleggiano l’unione ricreata della separata natura femminile e maschile. Nella Mixoparthenos invece sempre c’era quest’unità, visto che le sue gambe sono due code della stessa e unica serpente-dea, e i suoi piedi sono i due punti delle due code.

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