martedì 6 agosto 2013

Nomi di Simferopol


Il nome di Simferopol, Συμφερόπολις in greco significa «la città del bene comune». Tuttavia, ha ricevuto questo nome che suona tanto bene antico greco solo nel 1784, quando il Khanato Tartaro di Crimea fu annesso alla Russia, sicuramente perché è stato designato il centro amministrativo del Governorato della Crimea – o meglio di Tauride, perché a quell’epoca hanno trovato i nomi tartari ripugnanti e quei greci attraenti. I suoi abitanti tartari lo chiamavano Aqmescit, Moschea Bianca, ma neanche questo era il suo nome originale. Già gli sciti, che hanno vissuto in una simbiosi produttiva con i greci lungo la costa settentrionale del Mar Nero, hanno fondato qui una città, della quale conosciamo però solo il nome greco: Neapolis. Aveva anche il suo nome armeno ed ebraico caraita, e i nazisti nel 1941 le hanno dato anche un officiale nome gotico: Gotenburg, anche se il regno gotico della Crimea, che fioriva dal 4° secolo fino all’invasione turca alla fine del Quattrocento – e la cui lingua, registrata a Istanbul dallo stesso ambasciatore di Vienna, Busbecq, a cui ringraziamo anche la corona imperiale e altre piante esotiche, si  parlava ancora nel tardo Settecento – non si estendeva fino a questo punto. In confronto con i mille anni del regno omonimo, questo nome ufficiale era in uso per un periodo ingiustamente breve, per soli tre anni.

Come i nomi, così anche gli strati della storia si convivono nella città. Le targhe delle strade mostrano tutte le versioni di nome, così ognuno può trovare quello che gli piace, e non è nemmeno chiaro, quale è il nome vecchio e quale il nuovo. La colonna eretta in onore del generale Dolgoruky, il conquistatore di Simferopol nel 1771, si trova accanto alla Cattedrale Alexander Nevsky, per le cui forme neoclassiche nessuno direbbe che è stato da poco ricostruito: l’originale è stato fatto saltare in aria nel 1930, e fino al 2003 il Carro Armato della Vittoria rimase al suo posto. Nel centro, alla Piazza Lenin la statua del donatore del nome è ancora in piedi, ma gli edifici amministrativi e culturali in stile stalinista attorno ad essa sono vuoti e decadenti, e subito dietro di lui inizia l’ex quartiere industriale, oggi uno slum.


Camminando verso nord lungo la Strada dei Caraiti, sto mettendo a prova il potere dei nomi a preservare ricordi. Subito al primo incrocio vedo alcuni archi arcaici, incongrui con il quartiere industriale, gli archi del portico caratteristico di una tradizionale sinagoga caraita, una kenasa (sui caraiti e le loro kenase scriveremo ancora più). Il portico poteva essere murato nel 1891-96 quando una nuova, più grande kenasa è stata costruita accanto ad essa, che, rompendo con la tradizione, fu eretta in uno stile «europeo», quello delle sinagoghe orientali, in moda nel tardo Ottocento.



«Buon giorno», dico al portiere.«Fotografo sinagoghe vecchie, mi permetterebbe di entrare e fare alcune foto?» «Ma questa non è una sinagoga!» dice stupito, e per provarlo, indica la facciata, dove la stella, infatti, ha un ramo meno del necessario.


La kenasa è stata chiusa il 5 marzo 1930, e poi nel 1936 è stata assegnata alla Radio (più tardi Radio e Televisione) di Crimea come studio. È rimasta la loro sede fino a oggi, con una sola breve interruzione, quando tra il 1941 e il 1944 l’esercito tedesco la ha utilizzato per stalle. La comunità caraita ora la rivuole, e hanno già raggiunto tanto che l’anno scorso, il 7 ottobre, alla Festa dei Tabernacoli potevano pregare di nuovo, dopo 82 anni, al piano superiore dell’edificio.


Faccio una piccola prova. Vado attorno al blocco, alla ricerca del miglior angolo di ripresa, e nei cortili chiedo la gente se sanno dove è la vecchia sinagoga. Nessuno lo sa.


Oltre l’angolo, il nome della strada cambia per Caucaso. A prima vista solo la torre della moschea tartara appare dietro il terreno vuoto, ma guardando meglio, si trova un altro monumento distrutto in attesa di ricostruzione, a cui il nome della strada fa riferimento. Un khachkar, una croce armena inviata da Erevan, e un’iscrizione indicano quest’intenzione al posto della ex chiesa armena. E questo anche significa che ci sono abbastanza armeni nella città per pensarlo seriamente.


«In questo luogo storico si rinascerà la Chiesa della Dormizione della Santissima Madre di Dio della Chiesa Armena Apostolica.”

Un poco più oltre, un campanile moderno e non troppo bello attira la nostra attenzione. Secondo la sua iscrizione, è stato eretto in memoria di San Luca, confessore e arcivescovo della Crimea (1877-1961). L’arcivescovo è stato un medico successo da una famiglia nobile, che nel 1923 è stato segretamente ordinato sacerdote e poi vescovo, e di conseguenza per tutta la sua vita ha subito persecuzioni continue da parte delle autorità. Il campanile fu costruito nel 2001 al posto della Cappella d’Annunciazione, dove l’Arcivescovo Luca ha pregato fino alla sua morte, e che fu demolita negli anni 1960.



La strada a destra dopo il campanile era originalmente chiamata Strada dei Tartari. Solo negli anni 1930 ha ricevuto il nome del rivoluzionario russo V. Volodarsky, il cui nome era tra l’altro anche differente: Moisei Markovich Goldstein. Qui ha costruito nel 1508 Mengli Giray Khan, che ha consolidato il Khanato di Crimea, la Moschea Bianca, che ha dato a Simferopol il suo primo nome conosciuto. Nel 1907 la moschea è stata ricostruita in stile turco, seguendo così il gusto dei determinanti centri religiosi e culturali stranieri, nello stesso modo come è successo nel caso della sinagoga. Ci sono anche due cartoline da quegli anni, dimostrando come era e come è diventato.


«Nella città ci sono 1800 case, tra cui molti a due e tre piani, un buon numero di negozi, quattro caravanerragli, cinque moschee…” (Evliya Çelebi, 1666)


La metamorfosi della moschea si continua da allora. Negli anni 1930 è stata chiusa, e dopo la deportazione dei tartari della Crimea ha cominciato di decadere. Era quasi completamente rovinata nel 1991, quando i tartari rimpatriati hanno preso cura di essa. Oggi sta ancora una volta nel suo antico splendore – anche se non ha potuto ricuperare l’antico giardino ornamentale, coperto con case nell’epoca socialista –, e come la sede del Mufti di Crimea, è considerato il centro religioso dei tartari della Crimea.


Il ricordo dei luoghi è conservato dai nomi, così come dalla memoria collettiva delle comunità, che dopo la distruzione fanno grande sforzo per ricreare questi luoghi. In tal modo offendo un barlume di speranza che Simferopol possa tornare ad essere la città del bene comune.


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