Il culto di San Gregorio l’Illuminatore, l’apostolo degli armeni è stato ininterrotto dagli inizi tra gli armeni della Transilvania. Ciò è indicato dal grande numero di pale d’altare che rappresentano il santo nell’atto di battezzare il re Tiridate III dell’Armenia, fra l’altro nelle chiese armene di Szamosújvár (Gherla), Erzsébetváros (Dumbrăveni), Csíkszépvíz (Frumoasa), o nelle chiese francescane di Dés (Dej) e Nagyszeben (Sibiu).
Le pale d’altare della chiesa armena di Gyergyószentmiklós (Gheorgheni) e della Chiesa Salamon a Szamosújvár (Gherla) si differenziano dal resto di queste rappresentazioni. Anche se la loro scena centrale è lo stesso battesimo, questa viene circondata da una «cornice narrativa», una serie di medaglioni che illustrano le torture di San Gregorio, collegando queste immagini più strettamente con Storia degli armeni scritto da Agatangelo alla fine del quinto secolo, che narra anche la leggenda del santo. La pala d’altare a Gyergyószentmiklós è una prova particolarmente bella di questa connessione, visto che i suoi medaglioni sono anche accompagnati da brevi testi esplicativi.
L’ex pala d’altare della Chiesa Salamon a Szamosújvár, inizio del 18° secolo
(Parrocchia armeno-cattolica, Szamosújvár / Gherla)
(Parrocchia armeno-cattolica, Szamosújvár / Gherla)
La nostra guida, Emese Pál ha sottolineato una curiosità nel dipinto di Szamosújvár, che non è menzionata né alla mostra, né nel catalogo. Un restauratore, che probabilmente non conosceva la leggenda del santo – che racconta la trasformazione del re in un cinghiale dopo l’incarceramento di Gregorio – ha frainteso il medaglione che rappresenta questa scena, e ha «corretto» il cinghiale coronato in un agnello..
Del gran numero delle piccole scoperte che accompagnano qualsiasi mostra, un buon esempio è quel dipinto di Szamosújvár, che finora era riguardato il ritratto di Stephanowicz Roska, il prevosto armeno di Stanisławów. L’errata identificazione era scoperta da una signora di Leopoli in visita alla mostra, che ha sottolineato sulla base di analogie locali, che la pittura rappresenta l’arcivescovo armeno di Leopoli, Jacob Stephan Augustinowicz. In effetti, gli inventari di Szamosújvár la hanno elencato come ritratto di Augustinowicz fino al 1877, quando una mano accurata ha cancellato la sua nome, e ha scritto quello di Roska sopra di esso, così ingannando generazioni di ricercatori, dall’ottocentesco storico di Szamosújvár, Kristóf Szongott, fino ai nostri giorni.
Gli studi del catalogo – su cui scriveremo a parte – sono organizzati intorno ai temi presentati nella mostra, rivelando quel contesto storico e sociale degli armeni della Transilvania, del quale abbiamo tanto sentito la mancanza, e alcuni persino si estendono a certi argomenti non toccati nella mostra. Tali sono i studi dei due autori armeni, il bel saggio di Armenuhi Drost-Abgarjan sull’arte di scrivere e la cultura del libro armena, e il breve riassunto di Meliné Pehlivanian sugli inizi della tipografia armena. Per quanto riguarda gli aspetti ungheresi, il saggio di Máté Tamáska merita una menzione speciale, in quanto presenta il culturalmente multicolore ambiente urbano di Szamosújvár, il luogo di origine della maggior parte degli oggetti esposti, che invece è rimasta in sottofondo alla mostra.
Il quadro complessivo che emerge dagli studi – forse a causa della breve scadenza – sembra ancora un poco sommario, ma il carattere innovativo della mostra, insieme alle importanti opere pubblicate negli ultimi anni, compensa per quest’impressione, e speriamo che prepara il terreno per nuove, più profonde ricerche. Aspettiamo alla continuazione.
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