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lunedì 30 settembre 2013
domenica 22 settembre 2013
Addio all'Ararat
Il culto di San Gregorio l’Illuminatore, l’apostolo degli armeni è stato ininterrotto dagli inizi tra gli armeni della Transilvania. Ciò è indicato dal grande numero di pale d’altare che rappresentano il santo nell’atto di battezzare il re Tiridate III dell’Armenia, fra l’altro nelle chiese armene di Szamosújvár (Gherla), Erzsébetváros (Dumbrăveni), Csíkszépvíz (Frumoasa), o nelle chiese francescane di Dés (Dej) e Nagyszeben (Sibiu).
Le pale d’altare della chiesa armena di Gyergyószentmiklós (Gheorgheni) e della Chiesa Salamon a Szamosújvár (Gherla) si differenziano dal resto di queste rappresentazioni. Anche se la loro scena centrale è lo stesso battesimo, questa viene circondata da una «cornice narrativa», una serie di medaglioni che illustrano le torture di San Gregorio, collegando queste immagini più strettamente con Storia degli armeni scritto da Agatangelo alla fine del quinto secolo, che narra anche la leggenda del santo. La pala d’altare a Gyergyószentmiklós è una prova particolarmente bella di questa connessione, visto che i suoi medaglioni sono anche accompagnati da brevi testi esplicativi.
L’ex pala d’altare della Chiesa Salamon a Szamosújvár, inizio del 18° secolo
(Parrocchia armeno-cattolica, Szamosújvár / Gherla)
(Parrocchia armeno-cattolica, Szamosújvár / Gherla)
La nostra guida, Emese Pál ha sottolineato una curiosità nel dipinto di Szamosújvár, che non è menzionata né alla mostra, né nel catalogo. Un restauratore, che probabilmente non conosceva la leggenda del santo – che racconta la trasformazione del re in un cinghiale dopo l’incarceramento di Gregorio – ha frainteso il medaglione che rappresenta questa scena, e ha «corretto» il cinghiale coronato in un agnello..
Del gran numero delle piccole scoperte che accompagnano qualsiasi mostra, un buon esempio è quel dipinto di Szamosújvár, che finora era riguardato il ritratto di Stephanowicz Roska, il prevosto armeno di Stanisławów. L’errata identificazione era scoperta da una signora di Leopoli in visita alla mostra, che ha sottolineato sulla base di analogie locali, che la pittura rappresenta l’arcivescovo armeno di Leopoli, Jacob Stephan Augustinowicz. In effetti, gli inventari di Szamosújvár la hanno elencato come ritratto di Augustinowicz fino al 1877, quando una mano accurata ha cancellato la sua nome, e ha scritto quello di Roska sopra di esso, così ingannando generazioni di ricercatori, dall’ottocentesco storico di Szamosújvár, Kristóf Szongott, fino ai nostri giorni.
Gli studi del catalogo – su cui scriveremo a parte – sono organizzati intorno ai temi presentati nella mostra, rivelando quel contesto storico e sociale degli armeni della Transilvania, del quale abbiamo tanto sentito la mancanza, e alcuni persino si estendono a certi argomenti non toccati nella mostra. Tali sono i studi dei due autori armeni, il bel saggio di Armenuhi Drost-Abgarjan sull’arte di scrivere e la cultura del libro armena, e il breve riassunto di Meliné Pehlivanian sugli inizi della tipografia armena. Per quanto riguarda gli aspetti ungheresi, il saggio di Máté Tamáska merita una menzione speciale, in quanto presenta il culturalmente multicolore ambiente urbano di Szamosújvár, il luogo di origine della maggior parte degli oggetti esposti, che invece è rimasta in sottofondo alla mostra.
Il quadro complessivo che emerge dagli studi – forse a causa della breve scadenza – sembra ancora un poco sommario, ma il carattere innovativo della mostra, insieme alle importanti opere pubblicate negli ultimi anni, compensa per quest’impressione, e speriamo che prepara il terreno per nuove, più profonde ricerche. Aspettiamo alla continuazione.
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sabato 21 settembre 2013
venerdì 20 settembre 2013
La strada per Ciufut-Kale
In preparazione al nostro viaggio di fine ottobre alla Crimea, Lloyd infila su un percorso e illustra con le sue foto del suo viaggio del 2006 le attrazioni più importanti di Bachcisaraj. Su ciascuno di questi monumenti scriveremo presto anche in dettaglio.
Se a Sebastopoli si prende l’elektrichka che parte verso nord-ovest, dopo circa 50 km si arriva alla città di Bachcisaraj.
Dalla stazione ferroviaria si parte una marshrutka che passa accanto al Palazzo del Khan tartaro…
…e oltrepassando anche la moschea della città…
…si ferma al Monasterio delle Grotte Uspiènskii.
Da questo punto si procede a piedi nella campagna polverosa, dove raramente si trova un albero per proteggervi con la sua ombra dal sole vesciche. Dopo una camminata di 2 km (che sembra come almeno 10) si arriva finalmente all’antica città caverna di Ciufut-Kale.
Benché il nome significhi «fortezza ebraica» nella lingua dei tartari, la città fu fondata forse già nel 6° secolo dai bizantini, e poi popolata dagli alani cristiani, parenti dei persiani e antenati degli osseti moderni. Secondo Wikipedia:
Nel 1299 l’orda tartara di Emir Nogai ha fatto irruzione nella penisola di Crimea… [Ciufut-Kale] fu fra le città spogliate. Dopo aver preso la città, i tartari la hanno convertito in una loro base militare. A cavallo del 15° secolo i tartari hanno stabilito artigiani caraimi davanti alla linea di fortificazione orientale, e costruito un secondo muro di difesa per proteggere il loro insediamento. Quindi, si è formata una nuova parte della città.A Ciufut-Kale rimane una kenasa – cioè sinagoga – dei caraimi…
… così come un mausoleo per una principessa tartara.
Le stazioni principali della strada attraverso Bachcisaraj. Allargare
Per un’altra carta di Bachcisaraj vedere l’atlante della Crimea.
Per un’altra carta di Bachcisaraj vedere l’atlante della Crimea.
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giovedì 12 settembre 2013
Orientalista in abiti dervisci
Ármin Vámbéry in abito di derviscio, dopo il ritorno dal suo viaggio nell’Asia Centrale,
fotografato in uno studio di Londra
fotografato in uno studio di Londra
Quattro anni fa eravamo in grado di illustrare solo con questa foto il post dedicato a Mullah Ishak, il giovane theologo di Khiva, che divenne un discepolo di Ármin Vámbéry, quando quest’ultimo ha viaggiato per l’Asia centrale mascherato da derviscio. Tanto che quando Vámbéry finalmente si è smascherato a Costantinopoli, Ishak ha deciso di seguirlo anche alla Frengistan infedele, e divenne bibliotecario dell’Accademia Ungherese delle Scienze. È morto in Ungheria, e la sua tomba nel cimitero rurale di Velence è divenuto una sorta di sito di pellegrinaggio segreto per gli orientalisti ungheresi.
Solo recentemente abbiamo trovato nel numero 1864/3 della rivista Az Ország Tükre (Lo Specchio del Paese) la litografia fatta poco dopo il loro ritorno a Pest, che rappresenta anche il Mullah vicino a Vámbéry seduto in abiti dervisci. I suoi occhi vivaci e brillanti allegramente contrappuntano la posa tetra di Vámbéry, riflettando il suo spirito intraprendente, e spiegando perché Vámbéry gli indirizzava le sue lettere come a quel mascalzone del Mullah tartaro.
Non è per caso che abbiamo trovato la rivista appunto ora. Tre anni fa, quando ho presentato la nostra pagina web sul più grande iranologo ungherese, Sándor Kégl – vi ricordate, l’uomo con il gatto –, composta dal materiale della Collezione Orientale della Biblioteca dell’Accademia Ungherese delle Scienze, dopo la presentazione mi si è fatta la domanda: visto che stiamo sistematicamente pubblicando l’eredità dei più grandi viaggiatori ungheresi all’Oriente, Ibrahim Müteferrika, Sándor Kőrösi Csoma, Aurél Stein, Sándor Kégl, Dávid Kaufmann – vedere l’elenco completo qui –, quando toccherà allo studioso, che è forse il più noto fra di loro a livello internazionale per il suo incredibile dono per le lingue, e soprattutto per le sue molte facce. Ora ne è venuto il tempo.
Domani sarà il centenario della morte di Ármin Vámbéry, il povero precettore ebreo e noto professore universitario, diplomatico e derviscio, un amico personale del sultano turco, dello scià persiano e del primo ministro britannico, il fondatore delle ricerche orientali nell’Ungheria. Domani alle cinque, alla conferenza internazionale tenutasi nella Biblioteca dell’Accademia Ungherese delle Scienze, presenteremo il sito web preparato dalla sua eredità conservata nella Collezione Orientale, che illustrerà, se non tutte, almeno una dozzina delle sue molte facce. Dopo la presentazione pubblicheremo il link qui in basso, e poi dedicheremo alcuni posts speciali al materiale incluso e non incluso nel sito. Venite, ascoltate, tornate a leggerci.
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mercoledì 11 settembre 2013
martedì 10 settembre 2013
Soldatenkaffee
In qualche modo sono tornato al post scritto quasi due anni fa, in cui ho presentato le immagini di una piccola città al confine tedesco-tedesco, in rovina dalla seconda guerra mondiale. La cosa non è così assurda: basta pensare alle Geisterbahnhöfer che erano situati sotto il territorio del Berlino Est, ma lungo le U-Bahn 6 e 8 che sono partiti da ed arrivati a Berlino Ovest, e così la metropolitana le ha attraversato senza fermarsi, e che spariranno completamente solo ora, con la ricostruzione della zona in corso. Solo alla fine del post è emerso dietro la piccola città, come la Statua della Libertà nella Pianeta delle Scimmie, il grattacielo di Mosca, indicando che ciò che vediamo è solo uno scenario nello studio del Mosfilm.
Così diventa comprensibile come un blooper anche l’iscrizione senza senso Sparkass des kreises rohel. Per lo scopo è abbastanza buono.
E così diventa comprensibile come un altro blooper la presenza di un Soldatenkaffee in una piccola città tedesca. Infatti, cafés con questo nome esistevano solo nei territori occupati, dove era importante incanalare i soldati tedeschi in luoghi affidabili, dove non erano esposti all’effetto corruttivo del contatto con la popolazione locale.
Ricordate ancora dal servizio militare il foglio sciolto elencando i luoghi di divertimento attorno alla caserma che era permesso visitare? Anche i soldati tedeschi erano provvisti di tali liste, che specificavano, quali cafés, cinema e bordelli possono essere visitati, e il Soldatenkaffee Madeleine a Faubourg Saint-Honoré 9 (U-Bahn Concorde) occupava un posto ragguardevole fra di loro.
Con la fine dell’occupazione è finita anche l’età dell’oro dei Soldatenkaffees, e nelle condizioni ingrate dell’Europa liberale un soldato tedesco può entrare in qualsiasi café parigino. Ma chi sospira ordine, non deve andare lontano. Riconoscendo la lacuna del mercato, in luglio scorso si è aperto in Indonesia il primo Soldatenkaffee moderno per ariani, wannabe-ariani, i bramosi di nostalgia e di tremare, un ristorante tematico, proprio come il pub di nostalgia pseudo-communista Marxim a Budapest, o il ristorante nazi ucraino Bunker sulla piazza centrale di Leopoli. Jedem das Seine.
One is reluctant to even comment such nauseating idiotisms, but that Gross, you see, is the
truncation of the original Kommandantur Groß-Paris, that is, Garrison Command
Great Paris. In this form it looks more like some enterprise of Gross und Kohn.
truncation of the original Kommandantur Groß-Paris, that is, Garrison Command
Great Paris. In this form it looks more like some enterprise of Gross und Kohn.
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