«Grazie alla borsa di studio della fotografia di József Pécsi, il fotoreporter di Magyar Nemzet ha visitato più volte Subcarpazia. Si è incontrato con soldati di ritorno dai campi di battaglia, famiglie in lutto per i loro parenti, rifugiati tatari della Crimea. E con una straordinaria ospitalità.
A un fotoreportaggio importante non si avvia senza preparativi. Anch’io ho cominciato di informarmi sul tema prima di andare nella Subcarpazia. Prima di tutto ho contattato un giornalista locale, che mi ha accompagnato per diversi luoghi, mi ha presentato a tante persone, e quando necessario, ha tradotto per me. Era il mio fixer: così si chiamano, nel gergo giornalista, le persone con una conoscenza locale che, nel corso di un importante lavoro sul campo, guidano e assistono i giornalisti e fotografi stranieri.
La prima volta che sono andato lì era marzo. Mi ricordo chiaramente del giorno. Sono andato a Verbőc/Verbovec, al funerale di un soldato caduto nel conflitto dell’Ucraina orientale. Dopo trecento e sedici chilometri sono arrivato alla frontiera. Passaporto. Documenti. Controllo. Arrivo in Subcarpazia. Strade dissestate. Le impronte del passato, ovunque. Grigiore. Pioggia battente. E, sulla via d’uscita di Bereszász/Beregovo, multa di polizia. Non poca. Quasi un’ora di ritardo. Sono tornato esausto al mio alloggio.
Per quanto ho provato, nei primi tempi non riuscivo a trovare il ritmo locale. Poi mi hanno presentato a sempre più persone che mi hanno aiutato. Ad esempio, a zia Slava, il cui figlio è un 22-enne soldato contrattuale. Lei, che è in contatto permanente con i soldati della Subcarpazia sul fronte, conosceva la risposta a tutte le mie domande, e mi ha aiutato in tutto. D’altra parte insegna lingua ucraina nella classe ungherese di una scuola bilingue.
E molto spesso ho avuto fortuna. Per esempio, in Kőrösmező/Jasinya, dove siamo partiti nella direzione sbagliata verso la montagna, e così ci siamo imbattuti in Olena, che si era trasferita dalla Russia a Subcarpazia. O quando una sera, strada facendo al nostro alloggio, ci siamo accorti di una candela tremolante in una finestra vicina. I nostri padroni di casa ungheresi ci hanno detto che una vecchia signora vive lì, Mária András, che prega così ogni mattina e sera. Siamo riusciti di visitarla, e mi ha permesso di fare alcune foto di lei mentre pregava. O zio Frédi a Fancsika/Fančikovo, che ha sentito del mio vagare in Subcarpazia, e che sto fotografando la vita quotidiana delle persone. Ha detto a un amico nel villaggio che sarebbe felice di mostrarmi le sue colombe.
E c’erano le famiglie ungheresi che hanno perso i loro cari nella recente guerra. Ho passato ore con loro. Tante volte non ho neanche preso fuori la macchina fotografica, abbiamo solo parlato. Il 16 settembre, Sándor Lőrinc è stato sepolto a Fancsika. Quando ho sentito la notizia, mi sono seduto in macchina, e sono andato a vedere la famiglia la sera precedente. Mi sono presentato, ho detto chi ero, da dove sono venuto, che cosa volevo. Ho parlato molto con la madre di Sándor, zia Anna. Mi hanno permesso di essere presente alla veglia notturna in una piccola stanza della piccola casa, alla bara coperta con la bandiera ucraina. Il giorno dopo, al funerale c’erano molte persone, tutti gli abitanti del villaggio. E anche molti soldati ucraini, che avevo già incontrato a Verbőc in marzo. Sono venuti a salutarmi, e hanno detto che sperano di incontrarmi la prossima volta a un evento più allegro.
Dopo il funerale volevo tornare a Budapest. Ma la zia Anna mi ha detto che non posso andare via prima di cenare con loro. Ho fatto le scuse, ma non mi ha lasciato andare. Mi hanno anche impaccato ciambelle per la via. Budapest è lontano.
Fancsika/Fančikovo. Funerale del soldato ungherese Sándor Lőrinc, caduto nel conflitto dell’Ucraina orientale
Dovunque sono andato in questo periodo in Subcarpazia, mi hanno dato un benvenuto cordiale. E non solo le famiglie ungheresi. Ho anche visitato famiglie tatare che erano fuggite dalla Crimea, e con le quali abbiamo parlato attraverso un programma di traduzione. I bambini hanno apprezzato molto che a volte non ci siamo capiti, e ci siamo spiegati per gesti. Activity. Ho visitato soldati, volontari, che raccoglievano cibo e vestiti per i soldati della Subcarpazia sul fronte. A Aknaszlatina/Solotvino, fra le rovine della vecchia miniera di sale, ci siamo imbattuti in zio Yura, che vi aveva lavorato, e ora è guardiano notturno nella zona della miniera. Abbiamo anche incontrato lo zio Béla, nel cui giardino c’è un enorme «cratere», perché il terreno era crollato sopra una miniera.
Il numero degli ungheresi in Subcarpazia si è drasticamente ridotto. Nel censimento del 2001 circa centocinquantamila persone si sono dichiarati ungheresi. Ci sono molti matrimoni misti, dove i bambini non parlano più l’ungherese. Nella desolente situazione economica tutti provano di trovare lavoro all’estero. La situazione di quelli che decidono di rimanere è molto più difficile. Loro vivono su pochi soldi da un giorno all’altro, ma credono che restare non è senza speranze, e che avranno un futuro nella loro terra. La quale, per i capricci della storia, ha cambiato paese cinque volte negli ultimi cento anni.»
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