«Se non la prima, ma almeno la seconda domanda che è stata chiesta di me dopo l’arrivo in terra armena, era: «E come ti piace il nostro alfabeto? Bello, non è vero? Dimmi, ma sinceramente, quale ti piace di più, il vostro o il nostro?»
Esso è infatti un alfabeto grande, in cui il suono corrisponde perfettamente alla rappresentazione grafica. Il tutto ha uno scopo determinato, il cerchio si chiude. Il suono ostinato del discorso armeno («la lingua armena è un gatto selvatico», dice Mandeľstam), coincide con la forma di ferro forgiato delle lettere armene, le parole messe in iscritto stridono come la catena. Mi posso chiaramente immaginare come queste lettere sono state create nella fucina: il metallo s’inchina sotto le martellate, la scoria brucia fuori di esso, e rimane solo la lucentezza bluastra, che per me è presente in ogni lettera armena. Con queste lettere si potrebbe ferrare un cavallo vivo. O si potrebbe ritagliarle di pietra, perché in Armenia la pietra è altrettanto naturale come l’alfabeto, e né la durezza né la malleabilità delle lettere armeni è in contrasto con la pietra. E l’arco superiore delle lettere armene è altrettanto simile alla spalla o volta delle antiche chiese armene, come lo stesso arco appare nei contorni delle loro montagne e del seno femminile. Tanto universale è per gli armeni questa sorprendente fusione di durezza e morbidezza, rigidità e flessibilità, maschile e femminile, sia nel paesaggio e nell’aria che negli edifici e nelle persone, e, naturalmente, nel suono della lingua.
Questo alfabeto fu creato una volta per tutte, in una forma perfetta e sempre valida da un uomo geniale, che profondamente sentiva lo spirito della sua terra natale. Quest’ uomo era l’immagine di Dio nel momento della creazione. Dopo la creazione dell’alfabeto, questa era la prima frase che ha montato in iscritto:
Ճանաչել զիմաստութիւն եւ զխրատ, իմանալ զբանս հանճարոյ
Čanačʿel zimastutʿiwn ew zxrat, imanal zbans hančaroy
E questa frase significa esattamente quello che comprende:
Per conoscere sapienza e ammaestramento; per intendere i detti di senno.
(Proverbi di Salomone, 1:1-2)
Quando l’ha montato in iscritto – non «scritto giù» o «disegnato» – questa frase, ha scoperto che gli mancava una lettera. Allora ha creato anche questa lettera. Da allora, 405 dC, «sta» l’alfabeto armeno.
Per me non ci può essere nessuna storia più convincente. Si può inventare un uomo, si può anche inventare una lettera, ma non si può inventare un uomo che ha dimenticato una lettera. Questo poteva accadere solo in questo modo. Quindi, questo uomo esisteva. Egli non è una leggenda, ma un fatto altrettanto storico come l’alfabeto stesso. Il suo nome era Mesrop Mastots.
Se fosse per me, erigerei un monumento a Mastots con la statua di quest’ultima lettera, come una prova solida che aveva ragione.”
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