mercoledì 4 giugno 2014

Le tre Grazie


Oggi sono andato al Deutsches Historisches Museum di Berlino per vedere la mostra sulla prima guerra mondiale annunciata con grande enfasi. È vano sprecare molte parole sulla mostra, quando una sola la descrive: noiosa. Nel seminterrato, in una grande stanza, un’installazione turbolenta cerca di presentare l’intera storia della prima guerra mondiale. Il tentativo è un completo fallimento. Chi non conosce in dettaglio l’andamento della guerra, non sarà in grado di comporre in un unico quadro gli oggetti esposti nei vari reparti contrassegnati con i nomi dei teatri delle operazioni militari, e presentati in modo – «ach, wie schrecklich, der Krieg!» – di massimizzare l’effetto emotivo. E chi lo conosce, vedrà chiaramente il carattere casuale e banale della selezione. Non avrei nemmeno scritto di essa, se, poco prima dell’uscita, nel reparto dedicato agli avvenimenti del dopoguerra, non avessi intravisto un ultimo oggetto esposto.


La targa di bronzo, larga più o meno un metro, una volta ornava l’edificio del Parlamento Croato di Zagabria, mentre oggi è conservata nel Museo Storico della Croazia. Secondo la sua iscrizione – «narodno vijeće na spomen proglašenja slobodne nezavisne države slovenaca hrvata i srba u hrvatskome saboru, XXIX. X. MCMXVIII.» – fu sollevata dal Consiglio Nazionale per commemorare la proclamazione dello stato libero e indipendente degli sloveni, croati e serbi il 29 ottobre 1918. Le tre figure femminili in abiti classici, che personificano i tre popoli, si stringono le mani. Le figure sulla sinistra e destra tengono nelle loro mani libere gli stemmi della Grande Croazia e Grande Serbia, compilati di una vasta gamma di regioni. Le mani di quella al centro sono occupate, ma neanche lei rimane senza uno stemma. Lo ha sotto il piede.


Se le tre nazioni sorelle slave meridionali vogliono celebrare la loro unione sul muro del Parlamento Croato, che lo facciano, anche se la sincerità del gesto è seriamente messa in dubbio dalla permanente guerra fratricida combattuta da allora fra di loro sia con la penna che con la mitragliatrice. Ma che in questa occasione hanno trovato necessario immortalare, aere perennius, anche il calpestio sul (l’araldicamente difettoso) stemma dell’Ungheria, con cui la Croazia ha combattuto insieme per tutta la prima guerra mondiale; che non hanno vinto, ma se ne sono separati in virtù del trattato di pace; e con la quale erano per ottocento anni in unione personale, e combattevano insieme contro l’impero ottomano e i suoi predoni nei Balcani, così che qui anche calpestano il proprio stemma e gli ottocento anni della propria storia – questo appartiene già alla patologia delle recentemente create piccole nazioni dell’Est. E illustra, insieme a migliaia di gesti simili, perché quel trattato di pace – di cui oggi commemoriamo il novantiquattresimo anniversario – rimane tuttora un vivido peso psicologico e emotivo, al di là di tutte le considerazioni e necessità storiche.

Ivo Kerdić, lo scultore, creatore di numerose sculture e medaglie patriottiche dopo la prima guerra mondiale, sembra di aver imparato a fondo i principi del classicismo romano durante i suoi viaggi di studio. Tuttavia sembra che né lui né i suoi committenti avevano mai sentito parlare del principio più importante della Roma classica, con il quale essa poteva conservare e far fiorire le sue conquiste, e il quale è riassunto in quattro parole come l’arte del governo da Virgilio nel famoso versetto 6.853 dell’Aeneis:

parcere subiectis et debellare superbos
risparmiare gli arresi, e sgominare gli arroganti

Per imparare la seconda parte del principio, avevano un sacco di tempo fra 1991 e 2001. La prima parte però sembrano di non aver mai imparato.

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