La targa di bronzo, larga più o meno un metro, una volta ornava l’edificio del Parlamento Croato di Zagabria, mentre oggi è conservata nel Museo Storico della Croazia. Secondo la sua iscrizione – «narodno vijeće na spomen proglašenja slobodne nezavisne države slovenaca hrvata i srba u hrvatskome saboru, XXIX. X. MCMXVIII.» – fu sollevata dal Consiglio Nazionale per commemorare la proclamazione dello stato libero e indipendente degli sloveni, croati e serbi il 29 ottobre 1918. Le tre figure femminili in abiti classici, che personificano i tre popoli, si stringono le mani. Le figure sulla sinistra e destra tengono nelle loro mani libere gli stemmi della Grande Croazia e Grande Serbia, compilati di una vasta gamma di regioni. Le mani di quella al centro sono occupate, ma neanche lei rimane senza uno stemma. Lo ha sotto il piede.
Se le tre nazioni sorelle slave meridionali vogliono celebrare la loro unione sul muro del Parlamento Croato, che lo facciano, anche se la sincerità del gesto è seriamente messa in dubbio dalla permanente guerra fratricida combattuta da allora fra di loro sia con la penna che con la mitragliatrice. Ma che in questa occasione hanno trovato necessario immortalare, aere perennius, anche il calpestio sul (l’araldicamente difettoso) stemma dell’Ungheria, con cui la Croazia ha combattuto insieme per tutta la prima guerra mondiale; che non hanno vinto, ma se ne sono separati in virtù del trattato di pace; e con la quale erano per ottocento anni in unione personale, e combattevano insieme contro l’impero ottomano e i suoi predoni nei Balcani, così che qui anche calpestano il proprio stemma e gli ottocento anni della propria storia – questo appartiene già alla patologia delle recentemente create piccole nazioni dell’Est. E illustra, insieme a migliaia di gesti simili, perché quel trattato di pace – di cui oggi commemoriamo il novantiquattresimo anniversario – rimane tuttora un vivido peso psicologico e emotivo, al di là di tutte le considerazioni e necessità storiche.
Ivo Kerdić, lo scultore, creatore di numerose sculture e medaglie patriottiche dopo la prima guerra mondiale, sembra di aver imparato a fondo i principi del classicismo romano durante i suoi viaggi di studio. Tuttavia sembra che né lui né i suoi committenti avevano mai sentito parlare del principio più importante della Roma classica, con il quale essa poteva conservare e far fiorire le sue conquiste, e il quale è riassunto in quattro parole come l’arte del governo da Virgilio nel famoso versetto 6.853 dell’Aeneis:
parcere subiectis et debellare superbos
risparmiare gli arresi, e sgominare gli arroganti
Per imparare la seconda parte del principio, avevano un sacco di tempo fra 1991 e 2001. La prima parte però sembrano di non aver mai imparato.
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