martedì 24 giugno 2014

A quattro mani


«Mio nonno camminò da Buda a Pest, a via Falk Miksa, per visitare la sorella Kamilla, che viveva lì con la figlia Klárika – suoi tre figli erano già stati portati via al lavoro forzato – in una casa di stella gialla. Appena entrato, si sono seduti a suonare il pianoforte a quattro mani. Era infatti caratteristico per la famiglia, che chiunque poteva sedersi con chiunque in qualsiasi momento per suonare a quattro mani. Hanno giocato operette, arie, ma anche generi più gravi. E il tempo è volato mentre si suonava, e sono già passate le cinque di pomeriggio, fino a quando era permesso a un ebreo di uscire in strada. ʻDai, cosa può andare male?’, disse mio nonno. ʻCertamente non si occuperà di un vecchio ebreo!’ Non è successo così. Alla fine di novembre, così come era uscito di casa, in una giacca sottile, in scarpe con buchi, è stato accompagnato a piedi a Deutschkreuz in Austria.»


La doppia casa di via Keleti Károly 29-31 fu progettato nel 1909 dal più grande duo architettonico del Liberty ungherese, Marcell Komor e Dezső Jakab. Le due ale fronte strada per casa d’affitto, mentre l’edificio più in sopra, in fondo al giardino, per le proprie famiglie. «Al fine che la loro leggendariamente buona cooperazione non fosse disturbata da niente, hanno nettamente separato tutto», ricorda il nipote di Marcell Komor, Tamás Székely, un’ingeniere egli stesso. «A sinistra era la casa d’affitto Komor, a destra la casa d’affitto Jakab. Nell’edificio di sopra, a sinistra l’appartamento Komor, a destra l’appartamento Jakab, con entrate e scalinate separate. Solo l’ufficio Komor e l’ufficio Jakab al primo piano erano collegati con una sola porta.Sul fronte strada sorgeva una volta un enorme portone intagliata, con due piccole porte: la porta Komor a sinistra, e la porta Jakab a destra. E noi siamo sempre entrati e usciti attraverso la porta Komor, e la famiglia Jakab sempre attraverso la porta Jakab, e non mi ricordo di nessun caso quando sia successo il contrario.»

L’unica eccezione è quella foto, che è stata probabilmente scattata poco dopo la costruzione della casa. In essa, Marcell Komor siede al lato destro della casa, sulla panchina Jakab, con la figlia Anna.

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«Solo il lato sinistro del palazzo, la casa Komor è stata dichiarata una casa di stella gialla, la casa Jakab no. Molta gente si trasferì nella casa, sia conoscenti che sconosciuti. Mio nonno rimase lì, sopportando la situazione con dignità e calma.»

La casa Komor è stata colpita da una bomba alla fine di gennaio del 1945, non appena due settimane prima della fine dell’assedio di Budapest. La parte superiore, l’appartamento della famiglia Komor si è completamente bruciato. Ma la casa è stata saccheggiata molto tempo prima.

«Il 19 marzo 1944 alcuni ufficiali tedeschi arrivarono alla casa Komor-Jakab, la quale, naturalmente, era piena di oggetti di valore e d’antiquariato, sculture, dipinti.
Nel 1944 Dezső Jakab era già morto, Marcell Komor era ancora vivo.
La vedova di Jakab, Irén Schreiber, * lasciò entrare gli ufficiali estremamente gentili ed eleganti, che avevano attraversato il confine ungherese quella stessa mattina.
Siccome la vecchia signora non aveva dubbi sullo scopo della visita degli ufficiali, ha subito offerto di guidarli attraverso l’appartamento, ed elencare gli oggetti di valore.
I soldati l’hanno però gentilmente declinato, dicendo che avevano ancora molti altri luoghi da visitare in quel giorno. Hanno preso solo un foglio di carta, con la lista esatta e dettagliata di tutti gli oggetti di valore nella casa, fino all’ultima piccola cornice. Alla fine della lista qualche righe annunciavano che la Banca nazionale tedesca avrebbe pagato per tutto questo, una volta la guerra sarebbe finita. «Firmi qui, per favore», hanno detto i schneidig soldati, che, dopo aver compiuto la loro missione nella casa Komor, se ne sono andati.»

Iván Bächer: “Komorok. Egy pesti polgárcsalád históriájából”
(I Komor. Dalla storia di una famiglia borghese di Budapest), Budapesti Negyed 1996/4

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«A quel tempo non ero a casa. Avevo diciotto anni, e ho servito la patria lontano da qui. Solo dopo il mio ritorno a casa sono venuto a sapere cosa era successo. Ho chiesto a uno dei colleghi di mio nonno, un architetto, che era deportato insieme a lui fino a Deutschkreuz, ma lui è riuscito a tornare a casa. Gli ho chiesto come morì mio nonno. Non voleva parlarne affatto. Solo dopo un lungo periodo mi ha detto che era orribile, che era assolutamente orribile. Non sono venuto a saperne di più.»


Brahms: Quinta danza ungherese per pianoforte a quattro mani. Mirka Lachowska e Edgar Wiersocki, 2008


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