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Ma c’è una pittura che supera tutto il resto in popolarità. In questa un vecchio uomo barbuto sta sedendo e fumando la pipa a un tavolo modestamente apparecchiato. Questo dipinto lo vediamo e rivediamo in ogni città, sulle pareti delle camere private, delle officine e dei bar, anzi sulle insegne delle case da tè e dei ristorati. Ed è ancora più sorprendente, che il quadro è stato completamente folklorizzato. Se lo cambia liberamente, e nelle riproduzioni individuali se lo completa come si trova meglio, con un narghilè nei caffè, o con una tavola riccamente apparecchiata nei ristoranti, a seconda di ciò che ci serve nel luogo rispettivo.
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La popolarità del quadro è stata indubbiamente rafforzata dal fatto che svolge un importante ruolo simbolico in uno dei più importanti film iraniani degli ultimi due decenni, Vita e niente di più (o com’è noto in Europa, E la vita continua, 1992) da Abbas Kiarostami. Questo film è la continuazione del primo film veramente di successo dell’allora cinquantenne Kiarostami, Dov’è la casa dell’amico? (1987), che abbiamo menzionato anche noi. Nel secondo film l’attore che interpreta Kiarostami e suo figlio viaggiano in una macchina malconcia da Teheran alle montagne di Gilan, pochi giorni dopo il terremoto con cinquantamila vittime, per sapere se i due giovani protagonisti del film dal villaggio di
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Uno degli apici di E la vita continua è, quasi esattamente alla metà del film, quando il personaggio principale si ferma in un villaggio in rovina, e lentamente percorre con lo sguardo i resti delle case, bellissime anche in rovine, con le montagne verdi di Gilan sullo sfondo. In un portico rimasto intatto guarda a lungo su questa riproduzione di Kamal-ol-Molk, che è stato tagliato quasi a metà dall’enorme crepa che corre dalla parte superiore alla parte inferiore della parete, ma nonostante questo il vecchio continua a fumare tanto pacificamente, come se nulla fosse accaduto. La bellezza e la forza di questa scena offre una chiave per tutto il film. Non è un caso che quest’immagine è stata scelta sulla locandina del film, la quale si può vedere ancora dopo venti anni in molti club o librerie. Io l’ho fotografato in un negozio di CD sul Vali-Asr Avenue.
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È quindi sorprendente, che mentre il quadro gioca un ruolo tanto importante nella cultura visuale dell’Iran moderno, e qualsiasi persona che si domanda lo considera il miglior dipinto di Kamal-ol-Molk, tuttavia non se lo trova in nessun album o sito web dedicato al maestro. Si deve cercare a lungo sul web persiano per trovare quella piccola storia che si racconta in forme varie in diversi siti:
«Intorno al 1940 due fotografi hanno viaggiato al villaggio di Maragh vicino a Kashan per prendere delle foto sull’atmosfera del paesaggio, la gente, e il mausoleo di Baba Afzai. Pranzavano nella casa da tè del villaggio, dove un uomo vecchio, che aveva appena finito il suo modesto pranzo, accese la pipa. L’hanno fotografato, e sono tornati a Teheran. Solo dopo lo sviluppo della foto hanno scoperto com’era bella, e l’hanno messo sulla parete dello studio.
Non molto tempo dopo anche il proprietario del caffè Laleh è andato allo studio per farsi fotografare. Ha visto sulla parete l’immagine del vecchio uomo con la pipa, il tè e il resto del pranzo sulla tavola. Gli è piaciuto, l’ha comprato, e l’ha appeso sulla parete del suo caffè.
La foto pendeva sulla parete per anni, finché un giorno un pittore entrò nel bar per bere una tazza di caffè e fumare una sigaretta. Gli piaceva la foto, e la immortalò in pittura d’olio.
Si è voluti solo pochi anni, e il dipinto era copiato per tutto il paese, in quadri, locande e insegne di negozi, sulle pareti di case da tè, bar e ristoranti, in ogni città e lungo le strade…»
La storia è stato ovviamente tanto folklorizzato come l’immagine. Il caffè Laleh – Tulipano –, il famoso caffè della Teheran pre-rivoluzionaria fu chiuso molto tempo fa, così non sapremo mai com’era la fotografia originale, che era tanto attraente per il pittore, che la convertì in un dipinto nello stile di Kamal-ol-Molk, e anche aggiunse la firma del maestro. O forse lo sapremo?
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Questa foto fu presa nel 1907 dai fratelli Lumière con il processo autocromo brevettato da loro nello stesso anno. È ovvio, che questo vecchio parigino che fuma la pipa e beve vino doveva essere il modello del dipinto «persianizzato».
Vale a dire, il dipinto migliore di Kamal-al-Molk, il pittore nazionale, non è la sua opera, anzi nemmeno un’opera individuale, ma una creazione collettiva. Non ha nemmeno un originale autentico, ed è per questo che è folklorizzato e adattato in tante versioni. La sua nascita è dovuta alla ricezione di modelli europei, e la loro conformazione a modelli persiani, e la sua popolarità al fatto che appare come un’opera anonima e un simbolo collettivo in una scena chiave di uno dei film più importanti sui problemi del destino iraniano. Tutto questo insieme lo rende veramente iraniano, un’opera di tal stile e significato, che se Kamal-ol-Molk lo vedesse, sicuramente lo autenticherebbe con la propria firma.
La storia potrebbe finire qui, il mistero è stato risolto. Ma per fortuna ogni mistero risolto crea un nuovo da risolvere. La constellazione della pipa, del vino e del vecchio con la grande barba bianca incita la nostra memoria visiva. Che cosa ci ricorda? Ecco. Quel parallelo visuale, presentato tempo fa, dove i due vecchi signori in Mio padre e lo zio Piacsek con vino rosso (1907) di József Rippl-Rónai stanno sedendo esattamente nella stessa posa come i due vecchi ebrei galiziani nella foto di Alter Kacyzne venti anni più tardi. La foto dei fratelli Lumière, anche se è fatta nello stesso anno che il dipinto di Rippl-Rónai, ovviamente non è un modello di nessuno dei due. Tuttavia, la figura in essa pare di svolgere il ruolo di tutt’e due vecchi allo stesso tempo: la sua posa è simile a quello a sinistra, mentre la pipa a quello di destra. E se si vuole, si può introdurre nella società ungherese-ebreo-francese-persiano anche uno schizzo più tardivo (1936) dello stesso Kamal-ol-Molk, dove un vecchio con la barba lunga sta leggendo nella posa della figura a sinistra. Sono questi semplici coincidenze visuali? O un inconscio topos pittorico, una formula iconologica del periodo? E il mistero continua.
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Leyzer Bawół, il fabbro non mi dirà quanti anni ha, ma deve essere più di cento. Ormai
suo figlio continua il mestiere, e il vecchio è diventato un medico. Mette
a posto braccia e gambe rotte.» Foto di Alter Kacyzne
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Un altro post stupendo, Tamás (l'ennesimo).
RispondiEliminaEd è stato il fumo di una pipa a riportarmi qui. Le tue storie sono sempre un viaggio.
F
Sei il perfetto storyteller Tamas per storie di grande fascino...
RispondiElimina