Iskander in pellegrinaggio alla Mecca. Ferdowsi, Shahnameh, manoscritto persiano copiato nel 1440, fol. 342. BnF
– E lei perché non va alla Mecca?
Di fronte al largo modello della Grande Moschea della mecca, alzo gli occhi. La coppia che sta davanti a me nella penombra della mostra «Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca» nell’Institut du monde arabe di Parigi, mi guarda sorridendo.
– È un’esperienza straordinaria, l’abbiamo già fatto tre volte… La gente che viene da tutto il mondo, la fratellanza generale, la pace, è qualcosa che non si trova da nessun’altra parte. In realtà, dovrebbe andare lì, ciascuno può andare, lo sa…
Un’immagine mi viene in mente, l’autostrada, dove le corsie si separano – la Mecca dritto per i musulmani, e per i non musulmani, la prossima uscita a destra.
– Non credo che possa…Essi esitano. E con un sospiro:
– Ah, sì, è necessario essere musulmani…
La donna sorride a me come a un bambino ignorante, mentre suo marito continua in una voce morbida:
– Ma lo sa, è molto semplice. Una semplice formula da pronunciare, niente di più, nessun studio preliminare, nessuna cerimonia… Per lei, storica, dire che Maometto è un profeta… questo è una verità storica, giusto? Per lei non sarebbe difficile…
Una semplice formula. Una formalità, per dire così.Penso a Richard Burton che visitò la Mecca nel 1853 travestito da medico afghano. Sicuramente nessun’epoca è semplice, ma 2014 non sembra l’anno più facile per prendere la via del pellegrinaggio.
No, questo viaggio non era mai facile, ma durante i secoli sempre c’erano viaggiatori europei a visitare, descrivere, misurare, cartografare, fotografare i luoghi santi dell’Islam.
Per raggiungere la Mecca, questi viaggiatori dovevano essere accorti, superare con astuzia le trappole, far finta di convertire, a volte travestirsi, come Ali Bey el Abassi, che ha dato una conferenza sui suoi viaggi nell’Institut de physique di Parigi nel 1807.
Domingo Badía y Leblich è nato a Barcelona nel 1767. Viaggiò in Africa e nel Medio Oriente fra 1803 e 1807, e poi nel 1817-1818. Travestito da musulmano e sotto il nome di Ali Bey el Abassi andò prima nel Marocco nel 1803 con il sostegno del segretario di Stato spagnolo Manuel Godoy, con l’obiettivo di conquistare il regno per la Spagna. Riuscì di ingannare sia il sultano Moulay Sliman, che i capi degli ordini religiosi. Quando già sentiva che la sua popolarità nel Marocco era tale da poter rovesciare il sultano e avere il potere, Ali Bey perdette l’appoggio delle autorità spagnole. Decise allora di intraprendere a proprio conto il pellegrinaggio alla Mecca.
Nella città santa fu accolto con onore a causa della nobile genealogia inventata da lui stesso, che lo collegava direttamente alla prestigiosa dinastia degli Abbasidi.
Al suo ritorno in Europa la Spagna era occupata dalla Francia, e Napoleon fece salire sul trono so fratello Giuseppe Bonaparte. Ali Bey el Abassi, riconverso in Domingo Badía, si mise in servizio francese. Nel 1808, dopo il ritiro dell’esercito di Napoleone, Badía, considerato un traditore nella Spagna, fu costretto di andare in esilio a Parigi. Era lì che pubblicò nel 1814 sotto il suo nome di pellegrino il resoconto del suo viaggio nel Marocco e l’Oriente. Scritto in francese e riccamente illustrato, il libro fu subito tradotto in inglese, tedesco e italiano – ma mai in spagnolo.
Ma gli europei hanno giocato un ruolo speciale nella storia del hajj non solo come partecipanti avventurieri, ma anche come rappresentanti d’autorità nei confronti delle popolazioni musulmane, in particolare i francesi nell’Africa del Nord. Dall’epoca napoleonica in poi, gli amministratori francesi in Egitto cercavano allo stesso tempo di facilitare e controllare il pellegrinaggio, per così garantirsi la cooperazione dei notabili locali.
Durante l’Ottocento, l’ascesa dell’imperialismo nelle regioni popolate da musulmani trasforma profondamente il contesto del pellegrinaggio, e pone i luoghi santi dell’Islam nel centro dell’attenzione internazionale. Dopo la conquista dell’Algeria nel 1830, la Francia ha ormai dei «sudditi musulmani», la cui vita religiosa farà parte della politica. Dopo il 1871 gli amministratori coloniali francesi sentono una grande tentazione di semplicemente vietare il pellegrinaggio. Nel clima dell’anticlericalismo generale dopo il ritorno della Repubblica nella Francia, le pratiche musulmane appaiono arretrate e superstiziose. Non riuscendo a impedire completamente il hajj, l’amministrazione regola il pellegrinaggio con dei permessi di viaggio, con il controllo del viaggio su terra e mare, e rafforzando le misure di sorveglianza sanitaria dei pellegrini. Così l’argomento delle epidemie nell’Hejaz o anche nell’India (la colera nel 1865 e tra il 1883 e il 1896, e la peste nel 1899) contribuirà a vietare il pellegrinaggio per diversi anni, e a introdurre il «libretto del pellegrino», una specie di passaporto di salute.
Visto che il Corano pone la partenza al pellegrinaggio sotto il segno di una libertà tripla, la libertà di sé, la libertà di movimento, e, infine, l’indipendenza finanziaria, dunque il possesso delle risorse materiali necessarie al viaggio, le autorità coloniali si basano su questi requisiti come precondizioni della concessione del passaporto. Questo serve per evitare il movimento dei poveri, che andrebbero mendicando lungo la strada del hajj, e che sono spesso considerati «clandestini», o «sans-papiers», come si direbbe oggi nella Francia.
Il permesso di viaggio di sotto, rilasciato a una donna che indossa un «tatuaggio sul volto» come segno distintivo, fa riferimento alla solvibilità del capofamiglia, e il suo impegno a rimborsare al potere coloniale gli eventuali costi del rimpatrio.
L’evoluzione dei mezzi di trasporto che accompagna la conquista coloniale, rivoluzionerà le condizioni del viaggio alla Mecca. La ferrovia, fondata nell’Egitto negli anni 1850, permette l’accesso al Mar Rosso, da dove i pellegrini continuano il viaggio con il battello a vapore, appoggatio anche dall’apertura del Canale di Suez nel 1869. A cavallo del secolo le autorità ottomane, in risposta alla crescente influenza economica occidentale, decidono di costruire una linea ferroviaria da Damasco alla Mecca. Finanziata esclusivamente da capitale musulmano, e realizzata da ingegneri tedeschi, la linea si completa nel 1908, nel periodo della rivoluzione dei Giovani Turchi, e ben presto trova successo.
Sul mare, le società britanniche o francesi offrono percorsi di navigazione da tutti i porti dell’Africa del Nord, Asia Minore e la costa siriana ad Alessandria o Port Said, da dove i pellegrini raggiungono tra il Canale o per ferrovia la città di Suez, il principale porto d’imbarco per Jeddah.
Il paradosso di questo boom dei mezzi di trasporto è che esso favorisce il flusso dei pellegrini a un territorio proibito ai non musulmani. Le potenze coloniali osservano con ansia le masse di pellegrini entrare nello spazio chiuso dei luoghi santi, dove probabilmente incontrano idee ostili ai poteri coloniali, che poi porteranno con se e diffonderanno al loro ritorno.
O forse porteranno con sé solo dei souvenirs, i primi prodotti della nascente industria turistica?
– Ah, sì, è necessario essere musulmani…
La donna sorride a me come a un bambino ignorante, mentre suo marito continua in una voce morbida:
– Ma lo sa, è molto semplice. Una semplice formula da pronunciare, niente di più, nessun studio preliminare, nessuna cerimonia… Per lei, storica, dire che Maometto è un profeta… questo è una verità storica, giusto? Per lei non sarebbe difficile…
Una semplice formula. Una formalità, per dire così.Penso a Richard Burton che visitò la Mecca nel 1853 travestito da medico afghano. Sicuramente nessun’epoca è semplice, ma 2014 non sembra l’anno più facile per prendere la via del pellegrinaggio.
No, questo viaggio non era mai facile, ma durante i secoli sempre c’erano viaggiatori europei a visitare, descrivere, misurare, cartografare, fotografare i luoghi santi dell’Islam.
Alain Manesson Mallet, Description de l’univers contenant les différents systèmes du Monde, les cartes générales et particulières de la géographie ancienne et moderne, les plans et profils des principales villes et des autres lieux plus considérables de la terre, avec les portraits des souverains qui y commandent, leurs blasons, titres et livrées, et les mœurs, religions, gouvernements et divers habillements de chaque nation…, 1683, BnF. Questa veduta di Gerusalemme rappresenta i pellegrinaggi in primo piano in atteggiamento di adorazione.
Per raggiungere la Mecca, questi viaggiatori dovevano essere accorti, superare con astuzia le trappole, far finta di convertire, a volte travestirsi, come Ali Bey el Abassi, che ha dato una conferenza sui suoi viaggi nell’Institut de physique di Parigi nel 1807.
Rapport fait à la classe des sciences physiques et mathématiques de l’Institut par le chevalier Badía, contenant un précis de ses voyages Afrque et en Asie
Domingo Badía y Leblich è nato a Barcelona nel 1767. Viaggiò in Africa e nel Medio Oriente fra 1803 e 1807, e poi nel 1817-1818. Travestito da musulmano e sotto il nome di Ali Bey el Abassi andò prima nel Marocco nel 1803 con il sostegno del segretario di Stato spagnolo Manuel Godoy, con l’obiettivo di conquistare il regno per la Spagna. Riuscì di ingannare sia il sultano Moulay Sliman, che i capi degli ordini religiosi. Quando già sentiva che la sua popolarità nel Marocco era tale da poter rovesciare il sultano e avere il potere, Ali Bey perdette l’appoggio delle autorità spagnole. Decise allora di intraprendere a proprio conto il pellegrinaggio alla Mecca.
Nella città santa fu accolto con onore a causa della nobile genealogia inventata da lui stesso, che lo collegava direttamente alla prestigiosa dinastia degli Abbasidi.
Ali Bey El Abassi (Domingo Badía y Leblich) (1766-1818), Voyages d’Ali Bey El Abbassi en Afrique et en Asie pendant les années 1803, 1804, 1805, 1806 et 1807, illustrato da Achille-Etna Michallon, (1796-1822), Didot (Parigi), 1814. Le immagini seguenti e il ritratto di sopra sono dello stesso libro.
Al suo ritorno in Europa la Spagna era occupata dalla Francia, e Napoleon fece salire sul trono so fratello Giuseppe Bonaparte. Ali Bey el Abassi, riconverso in Domingo Badía, si mise in servizio francese. Nel 1808, dopo il ritiro dell’esercito di Napoleone, Badía, considerato un traditore nella Spagna, fu costretto di andare in esilio a Parigi. Era lì che pubblicò nel 1814 sotto il suo nome di pellegrino il resoconto del suo viaggio nel Marocco e l’Oriente. Scritto in francese e riccamente illustrato, il libro fu subito tradotto in inglese, tedesco e italiano – ma mai in spagnolo.
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Ma gli europei hanno giocato un ruolo speciale nella storia del hajj non solo come partecipanti avventurieri, ma anche come rappresentanti d’autorità nei confronti delle popolazioni musulmane, in particolare i francesi nell’Africa del Nord. Dall’epoca napoleonica in poi, gli amministratori francesi in Egitto cercavano allo stesso tempo di facilitare e controllare il pellegrinaggio, per così garantirsi la cooperazione dei notabili locali.
Lettera del Generale Menou dalla sede di Cairo al Console della Repubblica francese nel Marocco, per garantire al sultano la sicurezza del viaggio a Jeddah via Alessandria, 1800.
Durante l’Ottocento, l’ascesa dell’imperialismo nelle regioni popolate da musulmani trasforma profondamente il contesto del pellegrinaggio, e pone i luoghi santi dell’Islam nel centro dell’attenzione internazionale. Dopo la conquista dell’Algeria nel 1830, la Francia ha ormai dei «sudditi musulmani», la cui vita religiosa farà parte della politica. Dopo il 1871 gli amministratori coloniali francesi sentono una grande tentazione di semplicemente vietare il pellegrinaggio. Nel clima dell’anticlericalismo generale dopo il ritorno della Repubblica nella Francia, le pratiche musulmane appaiono arretrate e superstiziose. Non riuscendo a impedire completamente il hajj, l’amministrazione regola il pellegrinaggio con dei permessi di viaggio, con il controllo del viaggio su terra e mare, e rafforzando le misure di sorveglianza sanitaria dei pellegrini. Così l’argomento delle epidemie nell’Hejaz o anche nell’India (la colera nel 1865 e tra il 1883 e il 1896, e la peste nel 1899) contribuirà a vietare il pellegrinaggio per diversi anni, e a introdurre il «libretto del pellegrino», una specie di passaporto di salute.
Corrispondenza relativa alla quarantena da organizzare per i pellegrini di ritorno dalla Mecca tramite il Canale di Suez, firmata dal medico d’igiene pubblica Adrien Proust, padre dello scrittore.
Visto che il Corano pone la partenza al pellegrinaggio sotto il segno di una libertà tripla, la libertà di sé, la libertà di movimento, e, infine, l’indipendenza finanziaria, dunque il possesso delle risorse materiali necessarie al viaggio, le autorità coloniali si basano su questi requisiti come precondizioni della concessione del passaporto. Questo serve per evitare il movimento dei poveri, che andrebbero mendicando lungo la strada del hajj, e che sono spesso considerati «clandestini», o «sans-papiers», come si direbbe oggi nella Francia.
Il permesso di viaggio di sotto, rilasciato a una donna che indossa un «tatuaggio sul volto» come segno distintivo, fa riferimento alla solvibilità del capofamiglia, e il suo impegno a rimborsare al potere coloniale gli eventuali costi del rimpatrio.
Istanza di Abdel Kader al Presidente della Repubblica Jules Grévy nell’interesse di una sottoscrizione pubblica nell’Algeria per la costruzione di una fontana nella Mecca, 1881.
L’evoluzione dei mezzi di trasporto che accompagna la conquista coloniale, rivoluzionerà le condizioni del viaggio alla Mecca. La ferrovia, fondata nell’Egitto negli anni 1850, permette l’accesso al Mar Rosso, da dove i pellegrini continuano il viaggio con il battello a vapore, appoggatio anche dall’apertura del Canale di Suez nel 1869. A cavallo del secolo le autorità ottomane, in risposta alla crescente influenza economica occidentale, decidono di costruire una linea ferroviaria da Damasco alla Mecca. Finanziata esclusivamente da capitale musulmano, e realizzata da ingegneri tedeschi, la linea si completa nel 1908, nel periodo della rivoluzione dei Giovani Turchi, e ben presto trova successo.
Sul mare, le società britanniche o francesi offrono percorsi di navigazione da tutti i porti dell’Africa del Nord, Asia Minore e la costa siriana ad Alessandria o Port Said, da dove i pellegrini raggiungono tra il Canale o per ferrovia la città di Suez, il principale porto d’imbarco per Jeddah.
Il paradosso di questo boom dei mezzi di trasporto è che esso favorisce il flusso dei pellegrini a un territorio proibito ai non musulmani. Le potenze coloniali osservano con ansia le masse di pellegrini entrare nello spazio chiuso dei luoghi santi, dove probabilmente incontrano idee ostili ai poteri coloniali, che poi porteranno con se e diffonderanno al loro ritorno.
O forse porteranno con sé solo dei souvenirs, i primi prodotti della nascente industria turistica?
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