martedì 26 agosto 2014

Nascosto agli occhi del mondo


Fermiamo la macchina sotto gli alberi, subito dopo il cartello che indica la chiesa. Alberi grandi. Un cancello. Pietre.
A sinistra, una piccola casa, di dove si fa avanti un uomo giovane.— You want to visit the church, maybe. I can open it for you.
Cammina un po’ curvo, con il viso arrosato dal calore. Ci da la mano. Un uomo giovane in sbiadita maglietta blu, pantaloncini stampati a fiori, e ciabatte di plastica blu.
— I’m the priest, even if I don’t look like one.

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Il villaggio laggiù è deserto, nessun volto alle finestre, nessun’ombra, nessuna voce, nessun cane che abbai o salti davanti le ruote. Un gatto che fugge al mio approccio. Trecce di aglio e cipolle appese ai portici, brocche di latte vuote. Annunci di morti chiodati a un palo. E, come per incanto, due trattori crociandosi la pista a tutta velocità davanti a me, prima di scomparire altrove.

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Camminiamo dietro il prete. Bisogna salire le scale, attraversare una porta che si apre nel muro di pietra a secco, lasciare dietro i pini e tigli che s’intrecciano i loro rami per nascondere quello che deve essere nascosto. È così che la chiesa di Borač si nasconde da secoli dagli occhi del mondo, nell’ombra della roccia che si emerge dietro di essa, anch’essa una roccia tra le rocce.


Lui ci crede? Sì, ci risponde, è sicurissimo che una volta c’era una città lassù, una città enorme, e questa chiesa ne era la cattedrale. Era una città prospera, una città potente, come lo testimoniano gli affreschi della chiesa – arcangeli in corazza, santi di volto serio, Costantino ed Elena che mostrano la vera croce, un vecchio dell’Apocalisse faccia a faccia con l’Arca di Noè, Cristo Pantocratore e Cristo Emmanuele su entrambi i lati della porta che collega il minuscolo nartece con il minuscolo santuario, e in fondo l’iconostasi con dipinti naif.

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Ma dov’era la città?
— Up there, you see, all these rocks — the city was there.

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Ci sono delle rovine lassù? Egli esita.
Sì, rovine, tutto è in rovina, non si vede niente. Sì, ci è salito una volta, quando è venuto qui.


Ci mostra la pila di rocce, la cresta che disegna i contorni di bastioni favolosi sul cielo, la frana che ha sepolto il percorso alla città morta. E io penso a tutte quelle città sepolte sotto l’acqua. Alla città di Ys sotto il mare al largo della costa della Bretagna, a Kitezh sotto le acque del lago di Svetlojar, a queste città di cui solo le anime pure possono ancora sentire le campane. A Borač nella Serbia centrale, la città inghiottita nell’aria, assimilata in se dalla roccia alla fine del 14° secolo, nel tumulto dell’avanzamento dell’armata ottomana, quando tutta l’area circostante fu abbandonata dalla sua popolazione in fuga.
Ci crede il nostro giovane prete, perduto nel suo deserto?
— The city was up there, see.
Stiamo partendo.
Al momento di sederci nella macchina, un ultimo sguardo intorno a noi, e lì, dietro di noi, ecco un’altra città nascosta dall’erba alta. Non c’è nessuna tomba in questo cimitero che non risali ai secoli passati, nessuna che aspetti gli abitanti del villaggio laggiù, nessuna croce che non si giri verso la scogliera.

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