Nel post sulla storia di Bella ciao ho accennato all’eccellente sito di Riccardo Venturi, che vi ha raccolto le più popolari canzoni contro la guerra, accompagnate da traduzioni in varie lingue e da abbondanti documenti di storia e di stampa. Poco più tardi Riccardo mi ha fatto l’onore di includere nel suo sito la traduzione letterale di Bella ciao dalla versione ungherese del post, introducendola con delle parole calorose.
Ma la vera sorpresa è seguita dopo. Quando l’ho ringraziato – in italiano – e gli ho mandato l’indirizzo della versione inglese del post perché sicuramente avrebbe potuto essere capita da molti più lettori rispetto alla versione ungherese, Riccardo mi ha risposto in ungherese:
Szívesen köszönöm az egész munkádért a szép blogodon. Én is elfogadom, hogy az olvasók többsége könnyebben olvashat angolul, de én a magyar nyelvet mindig jobban szeretem, mint a “világnyelv”… Elkezdettem magyart tanulni 16 éves korában én részrehajló vagyok :-) Minden esetben remélem, hogy a blogod és a honlapom a jövőben is a magyar és olasz néphagyományok tanulmányáért és történetéért közreműködhetnek!
(Un ringrazio affettuoso per tutto il tuo lavoro nel tuo bel blog. Anch’io ammetto che la maggioranza dei lettori possa leggere con più facilità in inglese, ma ho sempre preferito l’ungherese alla “lingua del mondo”… All’età di 16 anni ho cominciato a imparare l’ungherese, e così sono parziale :-) In ogni caso spero che il tuo blog e il mio sito possano collaborare anche nel futuro per lo studio e la storia delle tradizioni popolari ungheresi ed italiane!)
Già il fatto che un ragazzo italiano di sedici anni scelga fra le migliaia di alternative proprio questa lingua estremamente difficile e di limitata utilità è abbastanza improbabile. Ma che poi arrivi a questo livello di perfezione – ovviamente con un bella dose di diligenza e di talento – è addirittura incredibile. Interrogato sulle cause della sua scelta, Riccardo ha risposto questo:
A magyar nyelv két legfontosabb szava: szerelem és szabadság. Mikor 16 éves voltam, voltam mint minden 16 éves: romanticizmus, elmezavar, eredetiség, “én-nem-vagyok-mint-a-mások” zűrzavara...s a többi. Továbbá a határtalan nyelvszerelmem volt, mert a nyelvek, mint mondta a híres olasz keleti nyelvész Alessandro Bausani, “a világ legszebb játéka”. Egy firenzei könyvesboltban Fábián Pál magyar nyelvtanát (“Manuale della lingua ungherese”) láttam meg, és a magyar nyelv a hihetetlen szerkezetével elbűvölt engem; de sajnos nem volt pénzem vásárolni, túl drága volt. Két honapot várnom kellett, és a napon, mikor a szükséges pénzem volt, buszsztrájk volt. Jól, hazámból a könyvesboltba gyalog mentem, hogy vásároljam: nyolc kilómeter. Szerelem első látásra. A magyar nyelv nem “nehéz”: különböző, másféle. Az elméjét különböző gondolatmódra, gondolatszerkezetre készteti; és a különbözés szabadság. Megtanultam és beszélek más nyelveket, de a magyar még kedvenc játszótársam, a világ legszebb, legszabadabb és legszórakoztatóbb nyelve. A szerelem és a szabadság nyelve.
(Le due parole più importanti della lingua ungherese sono: amore e libertà. All’età di sedici ero come tutti i sedicenni: in una confusione di romanticismo, follia, originalità, “non sono come gli altri”… eccetera. E poi c’era l’irrefrenabile amore verso le lingue, perché le lingue, come disse il famoso orientalista italiano Alessandro Bausani, son “il gioco più bello del mondo”. Ho scoperto in una libreria fiorentina il Manuale della lingua ungherese di Pál Fábián, e la lingua ungherese mi ha completamente affascinato con la sua incredibile struttura. Però, purtroppo, non avevo i soldi per comprarlo, costava troppo. Ho dovuto aspettare due mesi prima di avere i soldi, ma proprio quel giorno c’era sciopero degli autobus. Bene, sono andato a piedi da casa alla libreria per comprarlo: otto chilometri… Amore a prima vista. La lingua ungherese non è “difficile”: è differente. Apre la mente a un differente modo di pensare, a delle strutture mentali differenti. E la differenza è libertà. Ho imparato e parlo anche un paio di altre lingue, ma l’ungherese è tuttora il mio preferito compagno di gioco, la lingua più bella, più libera e più divertente del mondo. La lingua dell’amore e della libertà.)
Anch’io mi ricordo bene di questo libro, con cui una volta ho insegnato, anzi due volte, e tutt’e due volte senza successo. Il mio primo studente è stato un ufficiale dei carabinieri molto simpatico, di Torino, nel mezzo del cammin fra i venti e trent’anni, che si era avvicinato a noi spinto dall‘attrazione per una ragazza ungherese, figlia di un famoso etnografo e studentessa al dipartimento di italiano. Alla fine degli anni ’80 una relazione ungherese era considerata un rischio per la sicurezza dello stato, e il ragazzo – con una carriera molto promettente dopo parecchi anni di servizio – è stato messo davanti a una scelta dai suoi superiori: o la ragazza o la professione. Ha scelto la ragazza. E dopo nemmeno sei mesi di studio dell’ungherese, la ragazza ha scelto qualcun altro al posto suo, mandandolo a casa perché cominciasse una nuova vita, la migliore che potesse.
La seconda volta abbiamo cominciato il libro con Bobo, il mio amico sardo-pratese, che negli anni ’90 ha trovato un’avventura eccitante aprire un caffé italiano a Budapest. Però questa è stata una breve parentesi. Bobo si è smarrito verso la terza lezione, nel corso dell’analisi morfologica della frase Hol vannak az amerikai turisták kocsijai? (“Dove sono le macchine dei turisti americani?” – in ungherese una costruzione un po’ prematuramente complicata per un principiante.) Bene, Dio abbia in pace il signor Fábián (è morto in questo settembre), ma se imparare ungherese è già difficile di per sé, allora impararlo di questo libro è addirittura un atto erculeo, per cui Riccardo merita veramente ogni riconoscimento.
Qualche giorno dopo il nostro scambio di commenti, il 6 di gennaio, quando la Befana porta i regali ai bambini, Riccardo ha fatto anche a me l’onore di farmi un regalo. Nella pagina del suo sito dedicata alla canzone Mio nonno partì per l’Ortigara di Chiara Riondino, ha tradotto in ungherese questa canzone con una dedica personale. In cima alla pagina ha anche incluso un link a una registrazione del canzone con Chiara, ma, dato che questo si può ottenere solo tramite diversi passaggi, qui sotto includo un link diretto.
Chiara Riondino: Mio nonno partì per l’Ortigara, registrazione fatta in occasione all’evento organizzato dalla comunità di base fiorentina Baracche Verdi in piazza dell’Isolotto, il 13 di maggio di 2007.
Questa canzone – scrive Riccardo – parla anche di suo nonno, “ragazzo del ’98” che è stato altrettanto derubato della sua gioventù dalla prima guerra mondiale e dagli anni passati nelle trincee delle Alpi italiane, di fronte alle trincee dell’armata austro-ungarica.
In cambio anch’io mando a Riccardo la canzone di mio nonno, “ragazzo dell’88”, cantata negli stessi anni e fra le stesse montagne – però dall’altro lato dello stesso fronte. E, già che siamo, includo anche la canzone del mio altro nonno, che ha servito sul fronte russo, un canzone che è tanto piacciuta ai miei amici russi. Come la canzone italiana, così quelle ungheresi non parlano di nessun odio verso il “nemico”, ma solo di una vita insensatamente sprecata in una guerra insensata.
András Széles: Kimegyek a doberdói harctérre (Esco al campo di battaglia di Doberdò). Dal CD di Tamás Cseh - Péter Péterdi: Magyar katonadalok és énekek a XX. századból (Canzoni dei soldati ungheresi del 20mo secolo) (2000).
Zoltán Kátai and the Hegedűs Ensemble: Esik az eső, ázik a heveder (Cade la pioggia, la bardatura è umida). Dallo stesso CD. Tuttavia, la versione di mio nonno era molto più melancolica, proprio quella era la sua bellezza.
Tante grazie a Francesca per la revisione del testo italiano.
Ma la vera sorpresa è seguita dopo. Quando l’ho ringraziato – in italiano – e gli ho mandato l’indirizzo della versione inglese del post perché sicuramente avrebbe potuto essere capita da molti più lettori rispetto alla versione ungherese, Riccardo mi ha risposto in ungherese:
Szívesen köszönöm az egész munkádért a szép blogodon. Én is elfogadom, hogy az olvasók többsége könnyebben olvashat angolul, de én a magyar nyelvet mindig jobban szeretem, mint a “világnyelv”… Elkezdettem magyart tanulni 16 éves korában én részrehajló vagyok :-) Minden esetben remélem, hogy a blogod és a honlapom a jövőben is a magyar és olasz néphagyományok tanulmányáért és történetéért közreműködhetnek!
(Un ringrazio affettuoso per tutto il tuo lavoro nel tuo bel blog. Anch’io ammetto che la maggioranza dei lettori possa leggere con più facilità in inglese, ma ho sempre preferito l’ungherese alla “lingua del mondo”… All’età di 16 anni ho cominciato a imparare l’ungherese, e così sono parziale :-) In ogni caso spero che il tuo blog e il mio sito possano collaborare anche nel futuro per lo studio e la storia delle tradizioni popolari ungheresi ed italiane!)
Già il fatto che un ragazzo italiano di sedici anni scelga fra le migliaia di alternative proprio questa lingua estremamente difficile e di limitata utilità è abbastanza improbabile. Ma che poi arrivi a questo livello di perfezione – ovviamente con un bella dose di diligenza e di talento – è addirittura incredibile. Interrogato sulle cause della sua scelta, Riccardo ha risposto questo:
A magyar nyelv két legfontosabb szava: szerelem és szabadság. Mikor 16 éves voltam, voltam mint minden 16 éves: romanticizmus, elmezavar, eredetiség, “én-nem-vagyok-mint-a-mások” zűrzavara...s a többi. Továbbá a határtalan nyelvszerelmem volt, mert a nyelvek, mint mondta a híres olasz keleti nyelvész Alessandro Bausani, “a világ legszebb játéka”. Egy firenzei könyvesboltban Fábián Pál magyar nyelvtanát (“Manuale della lingua ungherese”) láttam meg, és a magyar nyelv a hihetetlen szerkezetével elbűvölt engem; de sajnos nem volt pénzem vásárolni, túl drága volt. Két honapot várnom kellett, és a napon, mikor a szükséges pénzem volt, buszsztrájk volt. Jól, hazámból a könyvesboltba gyalog mentem, hogy vásároljam: nyolc kilómeter. Szerelem első látásra. A magyar nyelv nem “nehéz”: különböző, másféle. Az elméjét különböző gondolatmódra, gondolatszerkezetre készteti; és a különbözés szabadság. Megtanultam és beszélek más nyelveket, de a magyar még kedvenc játszótársam, a világ legszebb, legszabadabb és legszórakoztatóbb nyelve. A szerelem és a szabadság nyelve.
(Le due parole più importanti della lingua ungherese sono: amore e libertà. All’età di sedici ero come tutti i sedicenni: in una confusione di romanticismo, follia, originalità, “non sono come gli altri”… eccetera. E poi c’era l’irrefrenabile amore verso le lingue, perché le lingue, come disse il famoso orientalista italiano Alessandro Bausani, son “il gioco più bello del mondo”. Ho scoperto in una libreria fiorentina il Manuale della lingua ungherese di Pál Fábián, e la lingua ungherese mi ha completamente affascinato con la sua incredibile struttura. Però, purtroppo, non avevo i soldi per comprarlo, costava troppo. Ho dovuto aspettare due mesi prima di avere i soldi, ma proprio quel giorno c’era sciopero degli autobus. Bene, sono andato a piedi da casa alla libreria per comprarlo: otto chilometri… Amore a prima vista. La lingua ungherese non è “difficile”: è differente. Apre la mente a un differente modo di pensare, a delle strutture mentali differenti. E la differenza è libertà. Ho imparato e parlo anche un paio di altre lingue, ma l’ungherese è tuttora il mio preferito compagno di gioco, la lingua più bella, più libera e più divertente del mondo. La lingua dell’amore e della libertà.)
Fábián Pál magyar nyelvtana (Budapest 1970, Tankönyvkiadó) az asztalomon, 30 év után... :-)
(La grammatica ungherese di Pál Fábián [Budapest 1970, Editore Libri Scolastici] sul mio tavolo, dopo 30 anni… :-) )
(La grammatica ungherese di Pál Fábián [Budapest 1970, Editore Libri Scolastici] sul mio tavolo, dopo 30 anni… :-) )
Anch’io mi ricordo bene di questo libro, con cui una volta ho insegnato, anzi due volte, e tutt’e due volte senza successo. Il mio primo studente è stato un ufficiale dei carabinieri molto simpatico, di Torino, nel mezzo del cammin fra i venti e trent’anni, che si era avvicinato a noi spinto dall‘attrazione per una ragazza ungherese, figlia di un famoso etnografo e studentessa al dipartimento di italiano. Alla fine degli anni ’80 una relazione ungherese era considerata un rischio per la sicurezza dello stato, e il ragazzo – con una carriera molto promettente dopo parecchi anni di servizio – è stato messo davanti a una scelta dai suoi superiori: o la ragazza o la professione. Ha scelto la ragazza. E dopo nemmeno sei mesi di studio dell’ungherese, la ragazza ha scelto qualcun altro al posto suo, mandandolo a casa perché cominciasse una nuova vita, la migliore che potesse.
La seconda volta abbiamo cominciato il libro con Bobo, il mio amico sardo-pratese, che negli anni ’90 ha trovato un’avventura eccitante aprire un caffé italiano a Budapest. Però questa è stata una breve parentesi. Bobo si è smarrito verso la terza lezione, nel corso dell’analisi morfologica della frase Hol vannak az amerikai turisták kocsijai? (“Dove sono le macchine dei turisti americani?” – in ungherese una costruzione un po’ prematuramente complicata per un principiante.) Bene, Dio abbia in pace il signor Fábián (è morto in questo settembre), ma se imparare ungherese è già difficile di per sé, allora impararlo di questo libro è addirittura un atto erculeo, per cui Riccardo merita veramente ogni riconoscimento.
Qualche giorno dopo il nostro scambio di commenti, il 6 di gennaio, quando la Befana porta i regali ai bambini, Riccardo ha fatto anche a me l’onore di farmi un regalo. Nella pagina del suo sito dedicata alla canzone Mio nonno partì per l’Ortigara di Chiara Riondino, ha tradotto in ungherese questa canzone con una dedica personale. In cima alla pagina ha anche incluso un link a una registrazione del canzone con Chiara, ma, dato che questo si può ottenere solo tramite diversi passaggi, qui sotto includo un link diretto.
Chiara Riondino: Mio nonno partì per l’Ortigara, registrazione fatta in occasione all’evento organizzato dalla comunità di base fiorentina Baracche Verdi in piazza dell’Isolotto, il 13 di maggio di 2007.
Questa canzone – scrive Riccardo – parla anche di suo nonno, “ragazzo del ’98” che è stato altrettanto derubato della sua gioventù dalla prima guerra mondiale e dagli anni passati nelle trincee delle Alpi italiane, di fronte alle trincee dell’armata austro-ungarica.
In cambio anch’io mando a Riccardo la canzone di mio nonno, “ragazzo dell’88”, cantata negli stessi anni e fra le stesse montagne – però dall’altro lato dello stesso fronte. E, già che siamo, includo anche la canzone del mio altro nonno, che ha servito sul fronte russo, un canzone che è tanto piacciuta ai miei amici russi. Come la canzone italiana, così quelle ungheresi non parlano di nessun odio verso il “nemico”, ma solo di una vita insensatamente sprecata in una guerra insensata.
András Széles: Kimegyek a doberdói harctérre (Esco al campo di battaglia di Doberdò). Dal CD di Tamás Cseh - Péter Péterdi: Magyar katonadalok és énekek a XX. századból (Canzoni dei soldati ungheresi del 20mo secolo) (2000).
Kimegyek a doberdói harctérre, feltekintek a csillagos nagy égre: Csillagos ég, merre van a magyar hazám, merre sirat engem az édesanyám? Én Istenem, hol fogok én meghalni, hol fog az én piros vérem kifolyni? Olaszország közepébe lesz a sírom, édesanyám, arra kérem, ne sírjon. | Esco sul campo di battaglia di Doberdò guardo insù verso il cielo stellato: Cielo stellato, dov’è la mia patria ungherese, dove sta piangendo per me la mia dolce madre? Dio mio, dove morirò, dove si verserà il mio sangue rosso? La mia tomba sarà nel bel mezzo dell’Italia, mia dolce madre, ti prego di non piangere per me. |
Zoltán Kátai and the Hegedűs Ensemble: Esik az eső, ázik a heveder (Cade la pioggia, la bardatura è umida). Dallo stesso CD. Tuttavia, la versione di mio nonno era molto più melancolica, proprio quella era la sua bellezza.
Esik az eső, ázik a heveder gyönge lábamat szorítja a kengyel bársony lekötő szorítja lovamat nehéz karabély nyomja a vállamat. Megjött a levél fekete pecséttel: megjött a muszka százezer emberrel kétszáz ágyúval áll a harc mezején így hát, jó anyám, elmasírozok én. Jön egy kapitány hófehér paripán fényes kard csillog annak az oldalán kardja megvillan, az ágyú mennydörög szép piros vérem a földre lecsöpög. | Cade la pioggia, la bardatura è umida i miei deboli piedi sono stretti dalla staffa una cavezza di velluto stringe il mio cavallo una mitra pesante pesa sulla mia spalla. È arrivata la lettera con il sigillo nero: sono arrivati i russi con duecentomila persone, con duecento cannoni stanno sul campo di battaglia perciò, mia buona madre, devo marciare via. Arriva un capitano su un cavallo bianco una spada lucente brilla al suo fianco la sua spada brilla, i cannoni tuonano e il mio sangue rosso stilla sulla terra. |
Tante grazie a Francesca per la revisione del testo italiano.