giovedì 7 marzo 2013

Un cacciatore di lingue e leggende

Come al solito, stavo cercando qualcosa di diverso nello scaffale quando ho ritrovato il mio lacero tascabile «Racconti e leggende del Sistan» del 1981, una pubblicazione annotata dell’Accademia Sovietica – e sono rimasto sorpreso di scoprire che potevo ancora recitare a memoria alcuni versi della bellissima traduzione russa, e che ricordavo ancora come è nato il progetto del libro, dopo la scoperta sorprendente di un cantastorie di Sistan che viveva da molti anni in una piccola cittadina di Turkmenistan. Tuttavia, i dettagli erano già scomparsi, e perciò mi sono riletto le notizie sul linguista e poeta che ha registrato e tradotto queste storie, alcune delle quali erano leggende canoniche di Rustam dal Shahnameh, il Libro dei Re, altre erano leggende fino a quel momento sconosciute, ma recitate come resoconti storici, e altre ancora erano raccontate come fiabe popolari.

A. L. Gruenberg-Cvetinovic
(conosciuto nella traslitterazione occidentale anche come Aleksandr Griunberg)
Aleksandr Gruenberg-Cvetinovic si è rivelata una figura affascinante, un iranista e un ossessivo ricercatore sul campo, che ha documentato innumerevoli piccole lingue nelle valli più remote del Caucaso e dell’Asia centrale, e che ha salvato e tradotto moltissime leggende e poesie popolari.

A 22 anni si è laureato presso l’Università di Leningrado in linguistica iraniana. Nel 1953 ha cominciato i suoi studi nell’Istituto di Linguistica. Nel suo progetto Ph.D. ha studiato le lingue dei Tat delle montagne dell’Azerbaigian del Nord, che vivevano in una schiera di villaggi semi-isolati (a differenze dei più numerosi Tat di Dagestan, i cosiddetti «ebrei di monte», una parte dei Tat di Azerbaigian erano musulmani sciiti, e alcuni cristiani armeni; un gruppo, i famosi fabbri di rame di Lahigi ancora si considerano di origine persiana, anche se dai tempi leggendari di un re del Shahnameh, Kai Khosrow.)

Un calderaio di Lahigi al lavoro, da un diario di viaggio del 2011

Ma l’avventura più esotica del giovane studente laureato è avvenuta nel 1958, tra le montagne di Badakhshan, Tagikistan, con la «spedizione Yeti» dell’Accademia delle Scienze, la quale presto si è trasformata in una ricerca delle lingue e del folklore dei montanari di Badakhshan. Benché verso il 1955-56 il mondo occidentale avesse già in gran parte superato la mania dello Yeti dopo la conquista dell’Everest, la Russia era, al solito, in ritardo di qualche anno. Vladimir Obruciev, un patriarca novantenne della geologia russa, prima della sua morte nel 1956 aveva raccolto qualche supporto per una ipotesi dell’esistenza dello Yeti nelle montagne del Pamir, il “Tetto del Mondo”, come era nominato con orgoglio. Kirill Staniukovich, un noto geobotanista e scrittore scifi, aveva riferito che la gente del posto gli aveva parlato di un «uomo selvaggio», noto a loro come golub-yavan o forse gul-bayavan. E nel1958 Staniukovich fu incaricato di una spedizione, la quale, incidentalmente, non ha incluso nessun ricercatore di primatologia – bensì due iranisti.

Lago Sarez, il presunto habitat del golub-yavan secondo Kirill Staniukovich
Aleksandr Gruenberg aderì al gruppo della Spedizione del Pamir di Anna Rozenfeld, anche lei nativa di St. Petersburg, ma più vecchia di una generazione, anche lei iranista, dialettologa e folklorista, e anche traduttrice di racconti popolari. Anna Rozenfeld era scettica sull’esistenza dell’«uomo della neve», e affrontò la questione dello Yeti come un’esercizio di raccolta di folklore. Il gruppo comprendeva anche due membri che non avevano alcun background di Iranistica: una giovane giornalista, Valentina Bianchi, nipote del famoso autore di libri per bambini Vitali Bianchi, e lo storico e sociologo di 55 anni Boris Porshnev, a quel tempo cattedratico del Dipartimento della Storia Occidentale nel prestigioso Istituto Storico, ma più noto ai posteri per il suo entusiasmo allo yeti. Ciascun membro del gruppo ha pubblicato il proprio resoconto delle loro avventure nel Pamir, ma sono stati i volumi di Porshnev che le hanno veramente immortalate. Naturalmente Staniukovich finì per pubblicare storie fittizie sull’«uomo della neve», e alla fine non è chiaro quanto ebbe incorporato dei risultati della spedizione, e quanto fu un’invenzione – come nei veri racconti popolari. Il gruppo Rozenfeld ricercò le lingue del Pamir, come Vakhan, Shugnan, Rushan e Ishkashim, ma ha anche scoperto che alcune tribù del Chitral dalle pendici meridionali del Hindu Kush vivevano in Badakhshan, come discendenti isolati di schiavi rapiti nell’Ottocento dai famigerati mercanti di schiavi dell’Asia Centrale.

Le stesse montagne e i villaggi di Badakhshan, da un diario di viaggio del 2012


L’attenzione di Gruenberg si è così rivolta alle migrazioni isolate di vari gruppi etnici, il cui territorio originale era a sud del confine sovietico, ma che potevano essere studiati all’interno degli stessi confini. Fra il 1958 e il 1960 ha scoperto e documentato le popolazioni Teymuri, Jamshidi e Sistani in Saraghs e Kushka, nel sud del Turkmenistan. Poi ottenne un’opportunità unica: quella di studiare le lingue rare delle valli del Hindu Kush, tramite l’incarico di traduttore del Ministerio Afgano dell’industria mineraria. Fra il 1963 e il 1968 realizzò un’ampia ricerca in loco nel remoto Nuristan, il rifugio leggendario delle truppe di Alessandro Magno, documentando per la prima volta le lingue Munjani, Glangali e Kati. Purtroppo, gran parte del suo materiale del campo era ancora in attesa di elaborazione al momento della sua morte improvvisa nel 1995. Un altro suo progetto non finito era lo sviluppo, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze dell’Afghanistan, di un sistema d’alfabeto basato sulla Dari per le lingue Balochi, Kafiristani, Pamiri e Pashai.

Mausoleo di Saraghs-Baba, Turkmenistan, 1024
Le registrazioni su nastro portatile hanno rivoluzionato la raccolta di folklore, e nel 1975 Gruenberg è tornato a Saraghs per registrare i racconti epici del suo informatore sistani, Ismail Jarmamedov. Ismail, nato nel 1915, apparteneva alla prima generazione dei sistani in Saraghs. Le traduzioni poetiche russe di Gruenberg dei racconti di Jarmamedov sono il materiale del mio amato libro del 1981. Il ciclo di Rustam delle leggende sistani è insolito, in quanto è costituito di prosa parzialmente ritmata, con intarsi di versi. Il vocabolario arcaico e le uniche formule verbali ricorrenti suggeriscono che il ciclo segua una vecchia tradizione epica orale, ben distinta dal Shahname di Ferdowsi. Dal momento che Rustam è un eroe leggendario di Sistan, e dato che molti nomi e toponimi suonano in modo diverso nella versione sistani, Gruenberg ammetteva che questo ciclo di leggende risalisse a un ciclo epico indigeno pre-Ferdowsi.

Apparentemente un arido studio accademico, il libro dei Racconti e Leggende di Sistan è diventato così meravigliosamente poetico che ha raggiunto 75.000 copie di stampa, ed è diventato estremamente popolare. Aleksandr Gruenberg ha anche collaborato in molte altre traduzioni di leggende e racconti popolari dell’Asia Centrale, spesso traducendo i loro inserti poetici. Ha preso parte nella traduzione di leggende tat, turche e pamiri, e «racconti anonimi» iraniani, con centinaia di versi meravigliosamente interpretati. La mia ri-traduzione non può renderlo bene, ma tuttavia, per un piccolo assaggio delle parole di Gruenberg, ecco una prefazione canonica usata per i capitoli del Shahnameh, così come per le altre storie epiche di Sistan:

Голос донесся с бескрайних небес,
с синего купола дальних небес:
«Мудрый рассказчик, дервиш-острослов
не надевает на слово оков;
страстным влюбленным, тоской обуянным,
мчится оно фарсанг за фарсангом,
ловко, как заяц, и сладко, как мед...».
Шайтан приказал нам посеять табак,
куришь — погибнешь, погибнешь и так!
Курит Аббас, что в Иране царем,
пусть себе курит, да дело не в нем...
Слова — это шерсть, я же войлок валяю;
слова — молоко, я же масло сбиваю.
Ложь безграничная — вот мой рассказ.
Верблюд на блохе едет в город Шираз.
Ива и тополь, сосна и чинар
 сладких плодов не приносят нам в дар;
гранат и айва, померанец и тут
сочные щедро плоды нам дают.
Хлебом пусть станет вершина Ходжа,
в мясную шурпу Хильменд превратится.
Явился старик, чтоб шурпой подкрепиться.
«Много не съесть мне,— старик говорит.—
Стар я, устал я, и почка болит.
Съел я три сотни бараньих голов,
ножек без счета — а все же не сыт!»
Una voce si sente dal cielo sconfinato,
dalla cupola blu dell’altissimo cielo:
«Cantastorie saggio, dervish delle parole acute
lascia la tua parola volare liberamente,
correre avanti come un’amante desideroso,
che copra distanze di molti parasang,
veloce come la lepre, e fluido come il miele!
Il diavolo ci ha mostrato come usare tabacco,
se fumi – muori; ma morirai comunque.
Abbas, il shah di Iran ha anche fumato,
ma lasciamolo fumare, non parliamo di lui…
Le parole – come la lana, ne faccio feltri;
le parole – come latte, ne batto burro.
Di menzogne impossibili è fatta la mia storia.
Un cammello cavalca su una mosca a Shiraz.
Pioppo e salice, cipresso e pino
non daranno i loro frutti a noi da assaggiare,
il melone, melo cotogno e gelso offrono
il loro frutto al piacere di tutti.
Diventi il monte Hojja un monte di pane,
il fiume Helmand una zuppa ricca di agnello!
Un vecchio è venuto cavalcando per la zuppa.
Non posso mangiare molto, dice, sono
stanco e fragile, e gli intestini fanno male.
Ho mangiato pile intere di gambe di agnello,
trecento teste di agnello – e voglio di più!»


Negli ultimi anni il Hozeye Honari Musical Center a Teheran ha pubblicato in trentadue CD una raccolta completa della viva tradizione epica e del Shahnameh dalle varie provincie dell’Iran. Noi abbiamo solo sei dei trentadue, e il CD di Sistan non è tra questi. Ascoltiamo invece questa versione locale del Shahnameh da un cantastorie di Lorestano (Iran occidentale, monte Zagros).

Un vecchio cantastorie del Shahnameh, Iran

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