mercoledì 30 settembre 2015

Hedayat


Per settimane ho progettato questo viaggio. Oggi ho finalmente deciso di farlo, per non perderlo prima di Iran. È a venti minuti da qui in bicicletta. Kantstraße 76, Libreria Hedayat, che prende il nome dal Kafka persiano. La porta è chiusa, devo segnalare tramite la finestra al proprietario che parla al telefono dentro, per farmi entrare. Una ricca selezione di libri iraniani, sia in persiano che in tedesco. «Nella libreria Saless di Teheran mi hanno consigliato di venire qui e guardare intorno.» «Oh sì, siamo in costante contatto. Quindi questa è la libreria, lì, a destra, il nostro editore, Gardoon Verlag. E qui abbiamo corsi due volte alla settimana.» «Un corso di lingua?» «No, un corso di scrittura, per persiani. Una nuova generazione di scrittori si sta formando qui a Berlino, una parte dei loro libri la pubblichiamo noi.» Trent’anni fa Abbas Maroufi fu sentenziato a venti frustate in Iran, allora lasciò il suo paese, e si stabilì definitivamente a Berlino. Molti dei suoi libri sono in mostra, quattro in tedesco. «Quale ama di più?» «Peykar-e Farhad, «Lo specchio di Farhad», in tedesco Die dunkle Seite. Conosce questo famoso scritto di Hedayat, dove il protagonista racconta come cerca di raggiungere una donna. In questo libro la donna racconta la stessa storia from her viewpoint. Ma i lettori amano soprattutto Symphonie der Toten. Questa è una storia di un Kain e Abele persiano, in quattro movimenti sinfonici, con una ouverture.» «Prendo tutt’e due. Ne sono curioso.» Aggiungo anche la Traditionelle persische Kunstmusik di Nasser Kanani, anche questa nella loro edizione. Alla cassa si arrotonda con generosità verso il basso, e addirittura mi dà un altro libro. «Questo è un regalo, il mio ultimo libro. نامهای عاشقانه, Namehâye eshghâne, «Lettere d’amore», tutto in versi, lo vede. Le poesie in caratteri normali sono le lettere della donna, in grassetto quelle dell’uomo.» «Kheyli mamnum, khoda hâfez, Le ringrazio molto, addio.» «Khâkhesh mikonam, non ne parli, l’onore è mio.» Accompagnandomi alla porta, grida. «Che fortuna, il professor Kanani è appena qui.» Tale incontro non è inusuale fra i cinquantamila abitanti del quartiere persiano di Berlino. Il professore si volge. «Questo signore è interessato alla musica persiana. Ha appena comprato il Suo libro.» «Davvero?» Il professore mi guarda emozionato e un po’ incredulo. «È veramente interessato alla musica classica persiana?» Allunga la mano. «Viel Spaß.»



domenica 27 settembre 2015

Il miglior dipinto di Kamal-ol-Molk

Kamal-ol-Molk (con un bastone) fra i suoi studenti all’Accademia delle Belle Arti di Teheran

Kamal-ol-Molk, il più rinomato pittore persiano della fine Ottocento – nella cui casa staremo a Kashan – affascinò il pubblico soprattutto con i suoi quadri di genere. Lo stile introdotto da lui era, per così dire, la controparte dell’orientalismo europeo. Mentre quest’ulteriore riempì gli spazi larghi e lussuosi della pittura romantica e accademica con i motivi sediziosi dell’oriente misterioso, Kamal-ol-Molk ha reso le consuete immagini piccole e intime delle case persiane, che avevano i colori chiari, solo poche figure, e nessuna profondità spaziale, più attraenti per il pubblico persiano, sempre più sensibile alla cultura europea, con le tecniche artistiche acquisite in Italia, con i corpi realistici, la rappresentazione degli stati d’animo che si riflettono sui volti, e la prospettiva europea. Non è a caso, che le riproduzioni dei suoi dipinti, conservati nelle ex collezioni imperiali – L’indovino, Venditori ambulanti ebrei, Orefici di Bagdad, Musicisti, Festival di Noruz e il resto – sono tuttora le decorazioni comuni delle case e degli spazi pubblici.

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Ma c’è una pittura che supera tutto il resto in popolarità. In questa un vecchio uomo barbuto sta sedendo e fumando la pipa a un tavolo modestamente apparecchiato. Questo dipinto lo vediamo e rivediamo in ogni città, sulle pareti delle camere private, delle officine e dei bar, anzi sulle insegne delle case da tè e dei ristorati. Ed è ancora più sorprendente, che il quadro è stato completamente folklorizzato. Se lo cambia liberamente, e nelle riproduzioni individuali se lo completa come si trova meglio, con un narghilè nei caffè, o con una tavola riccamente apparecchiata nei ristoranti, a seconda di ciò che ci serve nel luogo rispettivo.

La cittadina storica di Masuleh sul Mar Caspio



Kashan, ristorante vicino al bazar

La popolarità del quadro è stata indubbiamente rafforzata dal fatto che svolge un importante ruolo simbolico in uno dei più importanti film iraniani degli ultimi due decenni, Vita e niente di più (o com’è noto in Europa, E la vita continua, 1992) da Abbas Kiarostami. Questo film è la continuazione del primo film veramente di successo dell’allora cinquantenne Kiarostami, Dov’è la casa dell’amico? (1987), che abbiamo menzionato anche noi. Nel secondo film l’attore che interpreta Kiarostami e suo figlio viaggiano in una macchina malconcia da Teheran alle montagne di Gilan, pochi giorni dopo il terremoto con cinquantamila vittime, per sapere se i due giovani protagonisti del film dal villaggio di Koker hanno sopravvissuto alla catastrofe. A parte della presentazione della devastazione e del lutto, il film, come il titolo suggerisce, fa soprattutto percepire con quanta forza e determinazione i sopravvissuti lavorano per rendere di nuovo abitabili le case e vivibili i villaggi, per fondare nuove famiglie al più presto possibile, affinché la vita continui. Il film aveva un vero e proprio effetto terapeutico in Iran, e quest’elaborazione della tragedia dava un enorme incoraggiamento e forza a tutta la società. Non è un caso, che Kiarostami presto ha girato un terzo film di successo, Tra gli ulivi (1994), basato sull’analisi meticolosa di una scena chiave di E la vita continua. Questi tre film, spesso chiamato dai critici «la trilogia di Koker» a causa della località comune, e considerato come l’opera più importante di Kiarostami, sono ancora ben noti in Iran, e il loro impatto è palpabile nell’intero cinema iraniano.

Uno degli apici di E la vita continua è, quasi esattamente alla metà del film, quando il personaggio principale si ferma in un villaggio in rovina, e lentamente percorre con lo sguardo i resti delle case, bellissime anche in rovine, con le montagne verdi di Gilan sullo sfondo. In un portico rimasto intatto guarda a lungo su questa riproduzione di Kamal-ol-Molk, che è stato tagliato quasi a metà dall’enorme crepa che corre dalla parte superiore alla parte inferiore della parete, ma nonostante questo il vecchio continua a fumare tanto pacificamente, come se nulla fosse accaduto. La bellezza e la forza di questa scena offre una chiave per tutto il film. Non è un caso che quest’immagine è stata scelta sulla locandina del film, la quale si può vedere ancora dopo venti anni in molti club o librerie. Io l’ho fotografato in un negozio di CD sul Vali-Asr Avenue.



È quindi sorprendente, che mentre il quadro gioca un ruolo tanto importante nella cultura visuale dell’Iran moderno, e qualsiasi persona che si domanda lo considera il miglior dipinto di Kamal-ol-Molk, tuttavia non se lo trova in nessun album o sito web dedicato al maestro. Si deve cercare a lungo sul web persiano per trovare quella piccola storia che si racconta in forme varie in diversi siti:

«Intorno al 1940 due fotografi hanno viaggiato al villaggio di Maragh vicino a Kashan per prendere delle foto sull’atmosfera del paesaggio, la gente, e il mausoleo di Baba Afzai. Pranzavano nella casa da tè del villaggio, dove un uomo vecchio, che aveva appena finito il suo modesto pranzo, accese la pipa. L’hanno fotografato, e sono tornati a Teheran. Solo dopo lo sviluppo della foto hanno scoperto com’era bella, e l’hanno messo sulla parete dello studio.
Non molto tempo dopo anche il proprietario del caffè Laleh è andato allo studio per farsi fotografare. Ha visto sulla parete l’immagine del vecchio uomo con la pipa, il tè e il resto del pranzo sulla tavola. Gli è piaciuto, l’ha comprato, e l’ha appeso sulla parete del suo caffè.
La foto pendeva sulla parete per anni, finché un giorno un pittore entrò nel bar per bere una tazza di caffè e fumare una sigaretta. Gli piaceva la foto, e la immortalò in pittura d’olio.
Si è voluti solo pochi anni, e il dipinto era copiato per tutto il paese, in quadri, locande e insegne di negozi, sulle pareti di case da tè, bar e ristoranti, in ogni città e lungo le strade…»


La storia è stato ovviamente tanto folklorizzato come l’immagine. Il caffè Laleh – Tulipano –, il famoso caffè della Teheran pre-rivoluzionaria fu chiuso molto tempo fa, così non sapremo mai com’era la fotografia originale, che era tanto attraente per il pittore, che la convertì in un dipinto nello stile di Kamal-ol-Molk, e anche aggiunse la firma del maestro. O forse lo sapremo?


Questa foto fu presa nel 1907 dai fratelli Lumière con il processo autocromo brevettato da loro nello stesso anno. È ovvio, che questo vecchio parigino che fuma la pipa e beve vino doveva essere il modello del dipinto «persianizzato».

Vale a dire, il dipinto migliore di Kamal-al-Molk, il pittore nazionale, non è la sua opera, anzi nemmeno un’opera individuale, ma una creazione collettiva. Non ha nemmeno un originale autentico, ed è per questo che è folklorizzato e adattato in tante versioni. La sua nascita è dovuta alla ricezione di modelli europei, e la loro conformazione a modelli persiani, e la sua popolarità al fatto che appare come un’opera anonima e un simbolo collettivo in una scena chiave di uno dei film più importanti sui problemi del destino iraniano. Tutto questo insieme lo rende veramente iraniano, un’opera di tal stile e significato, che se Kamal-ol-Molk lo vedesse, sicuramente lo autenticherebbe con la propria firma.

La storia potrebbe finire qui, il mistero è stato risolto. Ma per fortuna ogni mistero risolto crea un nuovo da risolvere. La constellazione della pipa, del vino e del vecchio con la grande barba bianca incita la nostra memoria visiva. Che cosa ci ricorda? Ecco. Quel parallelo visuale, presentato tempo fa, dove i due vecchi signori in Mio padre e lo zio Piacsek con vino rosso (1907) di József Rippl-Rónai stanno sedendo esattamente nella stessa posa come i due vecchi ebrei galiziani nella foto di Alter Kacyzne venti anni più tardi. La foto dei fratelli Lumière, anche se è fatta nello stesso anno che il dipinto di Rippl-Rónai, ovviamente non è un modello di nessuno dei due. Tuttavia, la figura in essa pare di svolgere il ruolo di tutt’e due vecchi allo stesso tempo: la sua posa è simile a quello a sinistra, mentre la pipa a quello di destra. E se si vuole, si può introdurre nella società ungherese-ebreo-francese-persiano anche uno schizzo più tardivo (1936) dello stesso Kamal-ol-Molk, dove un vecchio con la barba lunga sta leggendo nella posa della figura a sinistra. Sono questi semplici coincidenze visuali? O un inconscio topos pittorico, una formula iconologica del periodo? E il mistero continua.

József Rippl-Rónai: Mio padre e lo zio Piacsek con vino rosso, 1907

«Byale (Biała Podlaska, provincia di Lublino), 1926. Padre e figlio. Per proteggersi dal Male,
Leyzer Bawół, il fabbro non mi dirà quanti anni ha, ma deve essere più di cento. Ormai
suo figlio continua il mestiere, e il vecchio è diventato un medico. Mette
a posto braccia e gambe rotte.» Foto di Alter Kacyzne



venerdì 25 settembre 2015

Abraham Ganz al Hindukush

Широка страна моя родная, Russia è un paese ampio, c’è spazio in essa per ogni popolo. Come Araz ha selezionato nel post di ieri le foto dell’Azerbaigian dal fotoprogetto della Russia imperiale di Sergej Prokudin-Gorskij, così ho cercato e trovato anch’io almeno due foto connesse con l’Ungheria fra le 1902 foto a colori digitalizzate dal Library of Congress.

Una ricerca per «Ungheria» nel database produce una sola foto. La sua didascalia originale non è sopravvisuta, ma sul consiglio dell’ingegnere elettrico Paul Cooper e dell’esperto militare di politica esterna Martin Chadzynski i bibliotecari l’hanno provvista con questo titolo:  «Alternatori prodotti a Budapest, Ungheria, nella sala di produzione di energia di una centrale idroelettrica a Iolotan, sul fiume Murghab (tra il 1905 e il 1915)».


Questa foto nel catalgo della Library of Congress è il risultato della ricostruzione automatica del 2004 di Blaise Agüeras y Arcas. L’altra versione è la ricostruzione fatta a mano nel 2001 da Walter Frankhausen.


La centrale idroelettrica Hindukush di Iolotan fu costruita nel 1909 sul fiume Murghab, nella Transcaspia (Закаспийская область), cioè nella parte sud-est della Turkmenistan moderna. Nel 1887, lo zar Alessandro III acquistò dalle tribù turkmene qui, nella vicinanza dell’antica città di Merv (oggi Patrimonio dell’Umanità) una vasta terra deserta, per creare lì il successore moderno della favolosamente fertile oasi di Merv. Con il trasferimento di coloni hohol – ucraini – sulle proprietà dello zar, si è creata una vasta azienda di modello, una sorta di tecnopoli, con estesa irrigazione, fiorente lavorazione del cotone, e altre industrie. La centrale Hindukush, la quale con la sua produzione di 1350 kW era la centrale idroelettrica con la più altra produzione della Russia degli zar, fu costuita per fornire la zona con elettricità. (A titolo di confronto, nel 1917 la potenza combinata delle migliaia di impianti idroelettrici della Russia era 19 MW.)

La centrale Hindukush in una cartolina inviata il 24 gennaio 1911. Dalla serie “Le viste della Turkestan”

Prokudin-Gorskij visitò la regione due volte, prima nel 1906-1907, poi nel 1911. Dal distretto di Merv abbiamo 68 delle sue fotografie: oltre alle rovine dell’antica città di Merv e le foto etnografiche dei pastori turkmeni, sono soprattutto le immagini delle terre e degli impianti di cotone, e della centrale idroelettrica. Quest’ulteriore, che lui ovviamente poteva fotografare solo durante la spedizione del 1911, figura in sei foto nella Library of Congress. Dal momento che l’album di registrazione composto dopo la spedizione non è sopravvissuto, il catalogo della Library of Congress non localizza la maggioranza di queste foto. Esse sono state identificate dal progetto internazionale «The Legacy of Prokudin-Gorsky».

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Nell’Ungheria dell’epoca solo la Fabbrica Ganz era in grado di produrre un alternatore tanto potente. L’azienda fu fondata nel 1845 dallo svizzero Abraham Ganz come una fonderia di ferro e fabbrica di macchine, la cui costruzione originale a Buda funziona dal 1964 come museo. Nel 1869 il suo successore, András Mechwart ampliò l’azienda con un reparto elettrico, e ne fece un’impresa di fama mondiale, uno dei più grandi gruppi di imprese della monarchia austro-ungarica. La Ganz & Co. Danubius Electric, Machine, Wagon and Ship Factory, Ltd. fornì macchine per tutta l’Europa e l’Asia. A Odessa anch’io ho visto vecchie gru navali prodotte da loro. Dopo la guerra l’azienda fu nazionalizzata, e nel 1959 si fuse con la vicina fabbrica di locomotive e vagoni sotto il nome Ganz-MÁVAG. Nella mia infanzia questo blocco di edifici dalle dimensioni di un intero quartiere a Kőbánya, alla periferia industriale di Budapest, era una città nella città, che dava lavoro a un grande numero dei lavoratori del distretto. Abbiamo già citato la Canzone su Lenin dal suo coro e orchestra. Poi con il cambio di regime nel 1989 l’azienda fu chiusa, poi venduta in perdita a investitori stranieri nel nome della cosiddetta privatizzazione, in cui io stesso ho partecipato come interprete per investitori italiani. Da allora l’enorme blocco è il più grande mercato cinese dell’Europa. La sua parte più preziosa è il piccolo ristorante cinese, che tuttora considero uno dei posti migliori della cucina cinese a Budapest.

Però la centrale idroelettrica di Hindukush a Joloten non è stato scosso dal cambio di regime. Lavora ininterrottamente da più di un secolo con il suo equipaggiamento originale, di cui nel 2011, appena cento anni dopo le foto di Prokudin-Gorskij, tinmekun ha pubblicato una serie di foto su yandex.ru. È ovvio, che nulla è cambiato nella sala macchine. Le stesse piastrelle, la stessa divisione delle finestre, gli stessi macchinari, le stesse luci abbaglianti sul pavimento. E anche la placca in ottone ha la stessa scritta come cento anni fa.




Ганцовская электр[отехническая] комп[анія] въ Будапештѣ – Fabbrica Elettrotecnica Ganz, Budapest

Tra l’altro, l’importazione delle attrezzature occidentali più moderne dall’Occidente non era una rarità nella Russia zarista. In un’altra foto di Prokudin-Gorskij vediamo una segatrice nella carpenteria della ferriera di Zlatoust, la quale fu prodotta, secondo la sua placca in ottone, a Berlin-Reinickendorf, solo un paio di fermate dell’S-Bahn da dove ora sto scrivendo. La fabbrica di Reinickendorf esiste ancora. Mi chiedo se anche quella di Zlatoust esiste, con la macchina nel suo interno.



Dell’altra foto di Prokudin-Gorskij connessa con l’Ungheria scriveremo in un altro post.

Allah abbia pietà di te, Prokudin-Gorskij

Alcuni dei nostri compatrioti che lo sanno sempre meglio, sicuramente diranno che l’augurio «Allah rəhmət eləsin» è sbagliato in questo caso, perché «lui non essendo musulmano, non potrà avere rəhmət». Ma quest’espressione nella nostra lingua deriva dalla formula funerale araba «رحمة الله عليه»:  «che Allah abbia misericordia di lui», un augurio che ha già raggiunto la sua destinazione – Ciò che sente tutto, vede tutto, ed è il più misericordioso e pietoso – così che non c’è posto per discussioni inutili.

Anche Mirza Jalil iniziò la sua novella dal titolo «Qurbanəli bəy» nel 1907 con l’epigrafe «Qoqol, Allah sənə rəhmət eləsin», cioè «Gogol, che Allah abbia misericordia di te». Gli scritti dal tono critico e satirico del classico della letteratura russa, Nicolaj Vasil’evič Gogol (1809-1852) ebbero una grande influenza sull’opera di Jalil Mammadguluzade (1869-1932) e contribuirono alla nascita della scuola letteraria «Molla Nəsrəddin».

Sergej Michajlovič Prokudin-Gorskij (1863-1944) è considerato uno dei pionieri della fotografia a colori. Il motivo per cui gli auguriamo «rəhmət» è che lui è l’autore della probabilmente prima foto a colori sull’Azerbaigian e gli azeri.

Chi è Prokudin-Gorskij?

È interessante, che la famiglia Prokudin-Gorskij proviene dal granduca tartaro Murza Musa (1350-?), che insieme con i suoi figli passò dall’Orda d’Oro al Ducato di Mosca e adottò il cristianesimo ortodosso e il nome di Pjotr. Infatti, la mezzaluna e la stella sulla stemma di famiglia si riferisce alle radici tartare, mentre la rappresentazione simbolica del fiume al Neprjadva, un tributario del Don, e alla participazione nella battaglia di Kulikovo del 1380. Si dice che in questa battaglia, che finì con la vittoria del granduca Dmitrij (1350-1389) sopra l’esercito del khan Mamaj (1335-1381), Pjotr perdette tutti i suoi figli. Il granduca Dmitrij, che ricevette il soprannome di Donskoj, cioè del Don dopo questa vittoria, maritò a Pjotr una princessa della dinastia Rurik chiamata Maria, e premiò i suoi servizi con il dono della terra di Gora (in russo «montagna»). Il nome Gorskij della famiglia ebbe dunque inizio con Pjotr Gorskij, mentre il suo nipote Prokopij Alfjorovič (1420-1450) era soprannominato Prokuda (o «prokaznik», cioè «birichino»), e i suoi descendenti si chiamano Prokudin-Gorskij.

Dalla breve biografia di Sergej Michajlovič Prokudin-Gorskij è evidente, che fino al 1890, all’età di 27 proseguì vari studi. Nel 1883-86 studiò nel Liceo Alessandro, nel 1886-88 ascoltò scienze naturali presso il dipartimento di fisica e matematica dell’Università di San Pietroburgo, nel 1888-90 era studente presso l’Accademia Imperiale di Medicina Militare, mentre prese lezioni di pittura presso l’Accademia Imperiale di Belle Arti, suonava il violino ad alto livello, e mai completò i studi formali in qualsiasi di questi luoghi. All’Università di San Pietroburgo uno dei suoi professori era il famoso scienziato Dmitrij Mendeleev (1834-1907), che destò il suo interesse per la chimica e la fotografia.

Lungo il fiume Skuritskhali. Autoritratto. Studio a Orta-Batum. 1912. Fonte: The Library of Congress.

Prokudin-Gorskij diventò un membro della sezione della tecnologia della chimica e poi di quella della fotografia della Società Imperiale della Tecnica. Dal 1897 tenne conferenze sui suoi esperimenti fotografici. Nel 1901 aprì il suo «studio foto-zincografico  foto-tecnico» a San Pietroburgo. Nel 1902, durante il suo viaggio in Germania, ha studiato presso i principali ricercatori della fotografia a colori, in particolare Adolf Miethe (1862-1927), e acquistò le attrezzature tecniche più sviluppate dell’epoca. La prima foto a colori era dimostrata nel lontano 1861. Il principio della «separazione dei colori» ivi utilizzato propose di scattare la foto con tre filtri, rosso, verde e blu, e di proiettare poi le tre immagini una sopra l’altra attraverso i filti corrispondenti. Uno dei problemi principali era lo sviluppo di fotoemulsioni che avrebbero fornito una corretta trasmissione di colori, e Prokudin-Gorskij fece il suo contributo alla ricerca in questo campo.

Proiettore a tre colori di Prokudin-Gorskij, e il processo di proiezione. Disegno di Viktor Minačin dalla mostra The World of 1900-1917 In Color.

Negli anni successivi organizza dimostrazioni di proiezione di foto a colori, si reca in diverse regioni dell’impero per fotografare, organizza la stampa di cartoline a colori nel suo studio. La sua fama fu ancora di più ingrandita nel 1908 dalla foto a colori del classico vivo della letteratura russa, Lev Tolstoj (1828-1910), che a questa data aveva 80 anni. Spesso fu invitato a ricevimenti della società alta russa per dimostrare le sue foto a colori.


«Caro Lev Nikolaevič,
Non molto tempo fa ho avuto l’occasione di sviluppare una lastra fotografica a colori che qualcuno, il cui nome ho dimenticato, ha preso di Lei. Il risultato era estremamente male, perché il fotografo ovviamente non era all’altura del suo compito.
La fotografia a colori naturali è la mia specialità, ed è possibile che Lei avrà già incontrato per caso il mio nome nella stampa. Al momento, dopo lunghi anni di lavoro, sono in grado di creare eccellenti riproduzioni a colori reali. Le mie proiezioni di foto a colori sono ben note sia nell’Europa che in Russia.
Ora, che il processo di scattare fotografie con il mio metodo e le mie lastre richiede non più di uno a tre secondi, mi permetto di chiedere il Suo permesso a visitarLa per uno o due giorni (tenendo presente lo stato della Vostra salute e il tempo), per prendere diverse immagini di Lei e della Sua coniuge…
Sono convinto che riproducendo a colori naturali l’immagine di Lei e del Suo ambiente, farò un servizio a tutto il mondo. Queste immagini sono eterne – non si cambiano mai. Nessuna riproduzione dipinta può raggiungere tali risultati.

Sergej Michailovič Prokudin-Gorskij»

«Cimitero di villaggio». Cartolina a colori dallo studio di Prokudin-Gorskij, timbro postale 19 gennaio 1907. Fonte: Library of Congress


Una dimostrazione speciale per l’Imperatore Nicola II  e la sua famiglia nel maggio 1909 diede un impulso fondamentale al lavoro del ricercatore. Stupito dalle immagini a colori, lo zar concesse a Sergej Michajlovič tutte le spese di trasporto e le autorizzazioni necessarie per documentare a colori naturali tutti i luoghi d’interesse della Russia. Dopo alcune settimane di preparazione Prokudin-Gorskij iniziò la sua prima spedizione. Progettava di prendere diecimila foto a colori in dieci anni. Nonostante le difficoltà finanziarie, la guerra mondiale e le rivoluzioni, Sergej Michajlovič raccolse un materiale preziosissimo durante i viaggi in diverse provincie dell’impero, tra cui a Turkestan e nel Caucaso più volte, mentre lavorando anche sulla cinematografia a colori. Nel 1917 la dinastia Romanov fu rovesciata, e poi venne la rivoluzione bolscevica. A quel tempo l’unica collezione di Prokudin-Gorskij contava già più di 3500 foto.

Prokudin-Gorskij su un carrello vicino a Petrozavodsk, sulla ferrovia di Murmansk, 1915. Fonte: Library of Congress

Prokudin-Gorskij emigrò dalla Russia sovietica alla prima occasione. Nel 1918 viene mandato in missione in Norvegia, e non torna più. In seguito vive in Inghilterra, e poi dal 1921 fino alla sua morte nel 1944 in Francia. In modo assai curioso, era in grado di ottenere il permesso per portare con sé una parte della collezione, circa 2300 negativi, in Francia. Più di 1200 negativi e più di mille diapositive a colori sono rimasti nella Russia sovietica. Inoltre, circa 400 negativi una volta conservati in Francia sono considerati persi. Nel 1948 la US Library of Congress acquista dai figli di Prokudin-Gorskij ciò che è rimasto alla collezione. Questa, attualmente conservata nella biblioteca, consiste principalmente dai negativi a tre fotogrammi di 1902 foto. Inoltre, 14 album di registrazione contengono piccole copie in bianco e nero delle stesse foto con spiegazioni.

Questa preziosa fotodocumentazione era sconosciuta al grande pubblico per molti anni. Nel 2000 la raccolta era digitalizzata e pubblicata per il libero accesso al sito del Library of Congress.

Instagram Azerbaigian, 1912

La collezione di Prokudin-Gorskij ha decine di fotografie relative all’Azerbaigian. Le informazioni su dove furono prese e cosa rappresentano sono fornite dalle didascalie esplicative delle piccole immagini «in miniatura» in bianco e nero dell’album di registrazione dal titolo «Views in the Caucasus and Black Sea area».

Pagina 33 dell’album «Views in the Caucasus and Black Sea area». Fonte: The Library of Congress.

La maggior parte delle foto erano prese nella steppa Mughan nel 1912, e sono registrate alle pagine 33-38 dell’album di 44 pagine. La serie si inizia con la foto «Река Араксъ у Саатлы. Мугань», cioè «Il fiume Aras vicino a Saatly. Mughan», e raffigura principalmente la coltivazione del cotone intorno a Nikolaevsk, Grafovka e Petropavlovsk (dal 1931 Sabirabad), dove si stabilirono contadini ucrainiani dalla provincia di Kharkov. Del resto, nel 1899 anche il fondatore della stampa azera, l’eminente intellettuale Hasan Bey Zardabi (1837-1907) menzionò questi insediamenti nel suo articolo nel giornale «Kaspi».

Pagina 38 dell’album «Views in the Caucasus and Black Sea area». Fonte: The Library of Congress.

Solo poche foto raffigurano persone. L’immagine intitolata «Персидские татары. Саатлы. Мугань», cioè «Tartari persiani. Saatly. Mughan» può essere considerata come la prima foto a colori di gente azera. Mentre per molti di noi le foto a colori apparsero nei nostri album di famiglia solo negli anni 1980, i due uomini nella foto ebbero la loro già all’inizio del secolo. Anche se non sembrano di essere troppo affascinati dal momento storico. Probabilmente non ebbero neanche la possibilità di vedere la loro foto a colori. Se la Library of Congress non avesse digitalizzato questa collezione unica e non l’avesse pubblicato per libero accesso all’internet, non l’avremmo neanche noi.

L’immagine a colori ricostruita della foto «Tartari persiani. Saatly. Mughan» (a sinistra) e il file digitale del suo triplo negativo (a destra, dall’alto verso il basso, i negativi per il filtro blu, verd e rosso). Fonte: The Library of Congress.

Io ho visto quest’immagine nel 2010, negli Stati Uniti, mentre cercavo nella collezione Prokudin-Gorskij al sito web della biblioteca. A quel tempo la ricerca alla parola «Azerbaigian» dava solo poche immagini. La Library of Congress ordinò nel 2001 la ricostruzione di 122 immagini al fotografo Walter Frankhauser per una mostra intitolata «The Empire That Was Russia». La ricostruzione delle immagini a colori, utilizzando i files digitali, scannerizzati ad alta risoluzione nel 2000 dai negativi tripli, non è assolutamente un compito facile.

Al suo tempo, tre negativi separati si scattarono per i tre colori differenti. Durante il tempo che passò fra i tre scatti, sia il negativo che l’oggetto fotografato poteva spostarsi. I vari difetti fisici delle lastre di vetro dei negativi si aggiungono alle difficoltà della ricostruzione. La foto di sopra che rappresenta Prokudin-Gorskij sulla riva del fiume appartiene alle immagini ricostuite da Frankhausen. Solo una delle foto ricostruite per la mostra fu presa nell’Azerbaigian, quella intitolata «Mughan. La famiglia di un colono. Insediamento Grafovka».

Più tardi, nel 2004 la Library of Congress contrattò Blaise Agüera y Arcas per la ricostruzione automatica di tutte le foto a colori. Blaise, il famoso esperto di grafica digitale era nelle notizie nel 2013 per aver abbandonato, dopo sette anni, la sua posizione di leader presso Microsoft, per passare a Google. Secondo il suo resoconto, insieme all’«allineamento rigido» dei tre negativi, il metodo dell’«allineamento di warpfield», che conduce a risultati migliori tramite la varia deformazione di diverse parti dei negativi, è stato utilizzato nel software sviluppato per la ricostruzione delle foto.

Sorprendentemente, nella foto ricostruita dei «tartari persiani» conservata nel database on-line della Library of Congress si osserva un sottile spostamento dei colori, perché i negativi non sono alineati bene. Esso è particolarmente evidente  sulla faccia della persona a destra. Tuttavia, come la foto fu presa alla luce del sole, il tempo di esposizione e quindi il tempo fra i tre scatti non doveva essere lungo, neanche i negativi presentano alcuni gravi difetti.

Senza cedere alla mia solita pigrizia, ho aperto il negativo triple in Photoshop, tagliato le parti corrispondenti, e incollati i canali di colore rosso, verde e blu in un nuovo file. Ho allineato le immagini solo spostandole su e giù, o a destra e sinistra, mentre, a quanto pare, per un risultato ideale sarebbe necessario anche qualche lieve rotazione dell’una o dell’altra. Comunque l’immagine risultante era soddisfacente. Alla fine ho oscurato un poco i canali rosso e verde. Il risultato si vede qui sotto.

Un frammento della foto ricostruita dei «tatari persiani». A sinistra, la versione della Library of Congress, nel mezzo la mia versione, a destra quella ricostruita da V. Ratnikov.

Più tardi ho scoperto che le foto erano ricostruite e pubblicate sull’internet nel quadro di vari progetti che ricercano il patrimonio di Prokudin-Gorskij. Ma prima ho dovuto eliminare una piccola imprecisione nel catalogo della Library of Congress.

Ricercatore A. Yusubov

I titoli per le immagini nel catalogo della Library of Congress sono presi dalle didascalie sotto le corrispondenti miniature in bianco e nero negli album di registrazione. Questi album erano probabilmente compilati da Prokudin-Gorskij e i suoi assistenti molto tempo dopo la campagna fotografica, perché a volte i titoli non corrispondono alle immagini, o l’ordine cronologico è chiaramente sbagliato.

Immagine in bianco e nero della foto con una didascalia sbagliata a pagina 32 delle «Views in the Caucasus and Black Sea area» (a sinistra), e l’immagine del Palazzo dei Shirvanshah sulla vecchia banconota di diecimila manat, nota come «shirvan» (a destra). Fonte: The Library of Congress e BanknoteIndex.com.

Probabilmente qualsiasi azero darebbe testimonianza che l’immagine di sopra rappresenta il Palazzo dei Shirvanshah, ma la foto  fu inclusa fra quelle di Tiflis nell’album di registrazione, e la sua didascalia scorretta era «Мечеть въ Азiатской части Тифлиса», cioè «Una moschea nella parte asiatica di Tiflis». Però nel catalogo on-line il titolo fu corretto, con la seguente nota: «Informazione del titolo corretto fornita da Dmitrij Vorona, 2013».

Purtroppo nessun negativo a colori di questa foto è sopravvissuto, ma l’immagine in miniatura almeno dimostra che Prokudin-Gorskij fotografava anche a Baku. Durante la revisione dell’album sul Caucaso nel catalogo on-line ho visto a pagina 39 una foto del Palazzo del Teatro Filarmonico, ben familiare agli abitanti di Baku. Si è scoperto, che benché non ci sia stata nessuna spiegazione su quest’immagine, la didascalia di un’altra foto nella stessa pagina era allineata con essa, e così fu registrata come «Mechetʹ v Vladikavkazi︠e︡ (Moschea a Vladikavkaz)».

L’immagine a colori ricostruita della foto del Teatro Filarmonico (a sinistra), e il file digitale del suo triplo negativo (a destra). Fonte: : The Library of Congress.

Ho immediatamente inviato il seguente messaggio del 25 marzo 2015 attraverso il modulo on-line per la segnalazione di errori nel catalogo:

There is no original title for the photo in Prokudin-Gorskii’s album, but the title was wrongly assigned apparently because of proximity to another photo of the Mosque in Vladikavkaz. 

This is in fact totally different building in a different city – Baku. Look at the rare aerial photo of 1918 Baku. The Summer Centre for Public Gatherings at the bottom right corner, opened in 1912 as a club for wealthy Baku elite, was architecturally inspired by l’Opéra de Monte-Carlo, and now houses the Azerbaijan State Philharmonic Hall named after Muslum Magomayev (1885-1937) – famous Azerbaijani and Soviet composer and conductor (see here). See here the modern look of the building.

Un giorno più tardi ho ricevuto l’e-mail di seguito:

Dear Araz Yusubov: Thank you for your email about the caption for the image by Prokudin-Gorskii (item LC-P87-7277). You are correct that there is no title for the image in the album (LOT 10336) and that the title in the catalog record appears to be have assigned because it was close to the image of the mosque. The mosque is clearly not the same building as depicted in LC-P87-7277.

The building shown in LC-P87-7277 does look like the former Summer Centre for Public Gatherings in Baku, Azerbaijan which is shown in the aerial photo which you sent us. I have updated our database to incorporate your new information. The change should be in the online catalog within a few weeks.


Thank you very much for helping us correct and improve the information for this image in our catalog.
 

Best wishes,
Arden Alexander
Cataloger
Prints and Photographs Division Library of Congress


Così la didascalia di questa foto nel catalogo del Library of Congress è adesso «The Summer Centre for Public Gatherings, Baku, Azerbaijan». E c’è anche una piccola aggiunta nella sezione note: «Title devised by Library staff. (Source: researcher A. Yusubov, 2015)».

Altri link interessanti

«Цвет нации» («Colori della nazione»). Un documentario del 2014 di Leonid Parfjonov al 150° anniversario della nascita di Prokudin-Gorskij (in russo): https://www.youtube.com/watch?v=Qx0TbbRC5RE

Molte didascalie sono corrette nel catalogo delle foto a colori ricostruite sul sito web del progetto di ricerca internazionale «The Legacy of S.M.Prokudin-Gorsky»: http://prokudin-gorsky.org/

Le foto a colori ricostruite come parte del progetto «The Russian Empire in color photos» della chiesa ortodossa bielorussa: http://veinik.by/

Le foto a colori ricostruite dal laboratorio di tecnologie digitali dell’Accademia Russa delle Scienze e del centro «Restavrator-M»: http://www.prokudin-gorsky.ru/English/index.shtml

Prokudin-Gorskij: Autoritratto. Studio presso la cascata di Kivač. In basso: Una selezione dalla collezione Prokudin-Gorskij, soprattutto dalle immagini meno spesso riprodotte sull’internet

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Dagestan, villaggio di Arakani